giovedì 27 giugno 2013

"Band of brothers" (ovvero non la solita riunione di autoanalisi ...) - Parte II (si parte a Pisa ...)

Ha ragione Monica: questa volta sembrava proprio una riunione di autoanalisi. Sì, perché la prima riunione del gruppo civatiano di Pisa è sembrata proprio una riunione degli Anonimi Democratici: "Ciao mi chiamo Stefano e milito nel PD da 5 anni, ma sto cercando di smettere! Non ascolto D'Alema da 6 mesi!". Però ci si è ascoltati, cose che la sala di Via Fratti non vedeva da tempo, come dice Miro; qualcuno ha anche preso appunti! E c'erano perfino dei non iscritti che hanno parlato, tant'è che qualche animalista ha minacciato di denunciarci perché abbiamo attentato ad una specie protetta …
Che dire, fuor di metafora una gran bella serata. Se penso che c'è gente che si è sciroppata più di un'ora di macchina per venire da Montescudaio o Palaia la soddisfazione è tanta, ma pesante anche le responsabilità che ora ci carichiamo sulle spalle. Quella dei tanti militanti, iscritti, simpatizzanti, o semplici curiosi che vedono nella candidatura di Pippo, e in noi che la sosteniamo, una delle poche speranze contro il grigiore uniformante che tutto sta avvolgendo. Sta a noi coniugare etica, responsabilità, orgoglio, credibilità, proposte. idee: è quello che la gente ci chiede. Vediamo di riuscirci altrimenti la prospettiva progressista e riformista in questo paese subirà un tracollo definitivo e con essa la possibilità per il paese di risollevarsi.



sabato 18 maggio 2013

"Band of brothers" (ovvero non la solita riunione di autoanalisi ...)



Stamani (rubo la foto a Tiziana) bella, ma veramente bella riunione – neanche troppo carbonara in verità – di quei matti che in giro per il PD toscano pensano che Pippo Civati possa essere un buon segretario nazionale.
Intanto età media finalmente ampiamente, ma ampiamente under 75 (mi sentivo vecchio ...). E questo è già un bel segnale.
Poi – credo anche questo possa essere considerato un evento dal vago sapore escatologico – segnalo la presenza di almeno 3 passeggini regolarmente occupati  in sala. Tante donne, e come detto sopra anche qualche mamma (e anche qualche babbo che si spupazzava sapidamente e gioiosamente il pargolo).
Interventi semplici, assenza assoluta di giugulatorie masturbatorie, linguaggio spontaneo, ampi e diffusi sorrisi, risate sparse, clima assolutamente "easy", mancava solo un po' di prosciutto e il vino bòno e sarebbe stato il massimo! Intendiamoci, non è stata una riunione modello Democratici Anonimi: "Ciao sono Stefano, voto PD da una vita ...". 
Tutt'altro: diffusa incazzatura sullo stato del partito ma gran voglia di rimboccarsi le maniche e di fare il bene del PD e della sinistra italiana: mi ha colpito in particolare l'intervento di un amico di Prato che ha sostanzialmente detto "ho lasciato SEL per iscrivermi un mese fa al PD perché la crisi del PD è la crisi della sinistra italiana, e questo è il momento di esserci per fare qualcosa"!
Insomma mentre di solito la sala che ci ha accolto ospita riunioni che massacrano i testicoli più della ormai mitizzata proiezione della Corazzata Potionkin, oggi ho assaporato qualcosa di nuovo, o per lo meno qualcosa che non assaporavo da tempo: la voglia vera di fare politica. Attenzione: politica, non correnti o "sensibilità diverse".
Come ho detto nel mio intervento, è bene essere inclusivi al massimo, anche perché il partito rischia fortemente di diventare sempre più esclusivo. Esclusivo perché esclude invece di aprirsi; esclusivo perché proprietà esclusiva di potentati e lobby – quelle sì – distruttive. Per noi deve essere centrale il senso e la voglia del mischiarsi, del non rinchiudersi in un torre d'avorio: presenza, partecipazione, passione, servizio e militanza devono essere le nostre parole d'ordine.
Mi è parso significativo che tutti abbiano condiviso l'affermazione secondo la quale molti di noi hanno fatto negli ultimi anni dei percorsi di partecipazione "inconsapevolmente civatiani", trovando cioè in Pippo Civati soltanto una sorta di personificazione di idee e contenuti che da tempo portiamo avanti. 
Che dire, una bella partenza. Vediamo cosa ne viene fuori. Temo fortemente che per molti di noi (almeno per me) questa sia realmente la fatidica ultima spiaggia. Ma è anche vero che, da buon interista, nei lunghi anni bui ho anche maturato la virtù della pazienza. Come diceva Severgnini sempre a proposito delle beneamata "è l'attesa che rende il gusto della vittoria più intenso"! 

mercoledì 8 maggio 2013

Endorsement (delle elezioni a Pisa)



Perché alle elezioni a Pisa il 26 e 27 maggio sosterrò, voterò e farò votare Stefano Landucci:

1) Perché è un amico: si vabbé, in lista di amici ce ne sono tanti (quasi tutti): Ferdinando, amico fraterno che non me la perdonerà mai, Vladimiro, Ranieri, Gaetano, Luigi, Andrea, senza far torto a nessuno. Ma Stefano è un po' più "amico" di tutti.

2) Perché ci conosciamo da bimbetti anche se lui sconta il vizio capitale di venire da San Pio X (e io da Santo Stefano): cose da vecchia Portallucca ...

3) Perché NON è juventino, anche se NON è interista; ok, è milanista: nessuno è perfetto. Però ha un figlio interista!!!! E comunque sempre meglio del gobbaccio del Mazzeo.

4) Perché è stato alunno di mio padre, e già questo da solo vale tutto l'endorsement, non per mio padre, ma per essere riuscito a resistere! 

5) Perché sua nipote gioca alla Turris, ed è anche bravina!

6) Poi perché abbiamo la stessa idea di partito, di città, di militanza, di fatica quotidiana; perché abbiamo preso (e temo prenderemo) badilate di merda in faccia insieme; perché per noi gli ultimi saranno sempre i primi; perché ci sentiamo parte di un percorso con tanti altri amici; perché è una persona onesta e buona, ha fatto bene e credo potrà continuare a farlo.

P.S.: aggiungo una postilla; per chi non votasse PD segnalo due carissime amiche, due compagne di quelle "toste", nonché veramente due gran belle persone: Simonetta Ghezzani (nelle liste di SEL) e Maria Francesca Zini (nella lista "Una città in Comune")


giovedì 2 maggio 2013

Fedeli alla linea, ma la linea non c'è ... (del senso di realtà)



Fedeli alla linea, anche quando non c'è

Quando l'imperatore è malato quando muore o è dubbioso o è perplesso
Fedeli alla linea la linea non c'è 

Così cantavano Giovanni Lindo Ferretti ed i CCCP tanti ma tanti anni fa, quando la fedeltà alla linea era (ancora) un dogma. Dogma che oggi pare risorgere in un'Italia completamente diversa, dove i percorsi personali, anche i più sofferti (e quello del buon Ferretti Giovanni Lindo ne è esempio paradigmatico) si innestano in un contesto culturale, sociale, etico di enorme frammentazione e fragilità.
Ho già detto più volte, ma giova ripeterlo, che la principale causa di questa profonda degenerazione socio-etica sta nella figura di Silvio Berlusconi che rappresenta - anzi incarna - ciò che un paese solo superficialmente democratico come l'Italia, venera come vitello d'oro pagano: l'antistatalista, l'antisistema cialtrone ed egoista, l'a-solidale, il vagamente razzista, il cummenda, il chiagni e fotti, il fotti e basta …
Peraltro (tesi non mia ma di vari storici della politica) la storia italiana dell'ultimo secolo testimonia di come ai momenti di maggior tensione politica e sociale segua, con puntualità, un rafforzamento delle forze conservatrici, diciamo una sorta di immediata restaurazione. 
Berlusconi è figlio del '92, di Mani Pulite, della disgregazione di un sistema che non aveva né dava più punti solidi di appiglio. 
A maggior ragione oggi, Berlusconi - e comunque il moderatismo, il solido caro vecchio centro in stile Democrazia Cristiana - rappresenta un approdo cui i tanti ex e nostalgici (per non dire revanscisti) vagheggiano con ludibrio quasi sensuale. È tutta un'ode alle larghe intese, al senso di realtà (e le convergenze parallele no?). E quello che stupisce è l'acrimonia dei tanti ex contro chi si pone in dissenso. 
Capisco gli ex DC, oggi si ritrovano a casa: ai più vecchi sentendo Enrico saranno venute le lacrime agli occhi, gli sarà sembrato di sentire Fanfani. Ma quelli che faccio fatica a comprendere sono gli ex PCI (fedeli alla linea ...). La storia del PCI cui ammetto mi sono avvicinato solo negli ultimi anni, è per certi versi entusiasmante e bellissima. Però ho l'impressione che ancora oggi si fatichi ad accettare quello che il partito ha sempre considerato al suo interno il male assoluto: il frazionismo (le correnti DC codificate nel manuale Cencelli per capirci). E guarda caso - peculiare peraltro - le reazioni più violente sono sempre andate alle ali estreme (a sinistra): penso ad esempio al gruppo del Manifesto.
Oggi il bersaglio di tanto astio (perché di questo si tratta, mascherato da dialettica interna, ma basta sentirli nei circoli o nelle assemblee di partito per capirlo) sono i cosiddetti "giovani intellettuali", Civati in testa; nelle ultime riunioni cui ho partecipato la frase più gentile che ho sentito è stata "sì, ma lui è di Civati"). 
A parte che io sono di me stesso, e mi interessa il giusto la collocazione civatiana, mariniana o staminchiana (stavo pensando di fondare la corrente "'sta minchia" ...). Il punto centrale è: è tollerato o accettabile, non dico formalmente (nel precedente post ho approfondito il tema delle espulsioni), quanto sostanzialmente nella pratica quotidiana che vi sia qualcuno (uno, nessuno, centomila, un milione ...) che non è d'accordo?
La risposta è sempre a stessa: in questa situazione ci vuole senso della realtà. 
È vero: infatti il PD fino ad oggi non l'ha avuto. Come già il PCI nel '68, si è trovato del tutto impreparato di fronte a quella che Gramsci definì "una rottura generazionale", intendendo con questa espressione il passaggio della gioventù dopo la I guerra mondiale dal socialismo al fascismo. Allo stesso modo, oggi assistiamo ad un voto giovanile prevalentemente indirizzato al grillismo (e con questo non intendo fare alcun parallelismo) o all'astensione.
Qualcuno ha deciso che (e nel precedente post ho già criticato il metodo - ma la linea non c'è ...) anche per oggettive ed evidenti responsabilità della controparte, che il dialogo con M5S non era praticabile (peraltro mentre Longo nel '68 incontrò i capi del movimento romano - pur non condividendone tesi e metodi - da pari a pari, il nostro approccio con il M5S è stato indeciso, pavido ed evidentemente strumentale, lo ha riconosciuto anche Marina Sereni). Qualcuno ha deciso che erano necessarie larghe intese. Qualcuno ha deciso che il nascente governo dovesse nascere sulle ceneri dell'Ulivo, ucciso – quello sì, a tradimento – dai vili (perché di tali si tratta) che oggi magari siedono al governo (o vi hanno fatto sedere qualcuno).
Ora dicono ci sarà il Congresso. Sì, se ne avvertono già i segnali: un bel Congresso chiuso, riservato agli iscritti magari del 2001, che non considererà minimamente chi ha votato alle primarie, che cercherà di distaccarci sempre più dalla realtà. 
Ma tant'è: non è che questo scoraggia, tutt'altro. Magari almeno facciamo in modo che questa volta il Congresso sia bello tosto, bello duro, con delle belle tesi contrapposte, con dei bei modelli di partito contrapposti. Non è - credo - che abbiamo paura della minoranza: è una vita che – almeno io – sono in minoranza ... 
Quello che realmente spaventa è l'omologazione complessiva che tanto sa di autoreferenzialità, che trasforma il partito da un luogo di confronto, ad un intreccio di interessi. 
Spaventa che in nome di questa omologazione qualcuno ci voglia raccontare le favole o fare le lezioni di politica. Lo sappiamo fin troppo bene che siamo ad un passaggio storico, sociale e culturale dirimente: secondo voi perché stiamo facendo tanto casino? Ma ve lo siete chiesto? Se le risposte sono del tipo "sì, ma tanto il problema è che Civati voleva fare il ministro" significa che i dubbi che ho esposto sopra sono ben fondati e che, come nel '68, qualcuno ci ha capito veramente poco.


venerdì 26 aprile 2013

Cartellino rosso (not in my name)




In tanti anni di onorata carriera pallavolistica come giocatore prima, poi come allenatore, mai un'espulsione. Varie ammonizioni si, anche una diffida (da allenatore sono diventato assai incazzereccio, ho un rapporto un po' difficile con la classe arbitrale), ma mai un cartellino rosso. Nella pallavolo poi esistono sia l'espulsione temporanea che quella definitiva, ed è uno sport che tiene molto alla disciplina in campo e al rispetto. Tant'è che l'allenatore non può neanche parlare con l'arbitro: è il capitano che tiene i rapporti con il fischietto ...
Insomma, vuoi vedere che la prima espulsione la becco da quelli del PD. E che cazzo, espulso da Boccia e Franceschini, che tristezza! Un po' come l'espulsione di Totti al mondiale coreano per mano dell'ineffabile Byron Moreno ... Ti prendono per il culo una vita ...


Ma proviamo a fare qualche considerazione. Il motivo dell'espulsione è un gravissimo fallo di gioco: il voto contro la eventuale fiducia al nascente Governo Letta (nello specifico da parte dei pericolosi estremisti Civati, Puppato, Gozi ... noti membri di collettivi riconducibili al mondo antagonista di sinistra).
Le posizioni di Pippo sono ben note e per chi le volesse approfondire rimandiamo al suo blog ciwati.it.
Io mi limito a tre osservazioni/questioni:
a) Il metodo. Mi farebbe piacere che qualche dirigente, militante, simpatizzante, al limite anche il portiere o la donna delle pulizie della sede nazionale mi dicesse in quale sede e con quale metodo sono state maturati i passaggi successivi alla trombatura di Romano Prodi. Nell'ordine: immediata corsa al Quirinale per chiedere la ricandidatura di Napolitano ed indicazione del partito del nome di Enrico Letta. Nell'assemblea dei grandi elettori si è votata la rielezione di Napolitano, per esplicita ammissione di molti, senza neanche attendere che tutti i grandi elettori stessi fossero presenti. Il partito ha soltanto convocato una direzione lampo dalla quale sono emersi due punti: conferma delle dimissioni di Bersani (che ha taciuto più che detto) e immediata quanto intempestiva minaccia di espulsione a chi avesse remato contro. Evitiamo di parlare di democrazia interna ma scusate: chi cazzo ha deciso una linea che è totalmente contraria non solo a quanto emerso dalle primarie in cui hanno votato 3 milioni di elettori e simpatizzanti, ma anche a quanto detto, ripetuto e stradetto dai nostri dirigenti (vedi post di Pippo Civati di oggi per eventuale didascalica conferma)?
b) L'ipocrisia. Mi spieghino in rigoroso ordine cronologico Franceschini, Boccia e Serracchiani per quale motivo si espelle chi come i suddetti dichiara onestamente e democraticamente la propria contrarietà ad un percorso maturato in termini non propriamente partecipativi mentre nessuno pone il problema dei famigerati 101 (non i cuccioli dalmata del famoso film ...). Stefano Ceccanti l'altra sera ha spiegato chiaramente che secondo i regolamenti parlamentari il voto segreto sulle persone non è sanzionabile (e ci credo, chiappali ...), mentre il voto palese sulla fiducia lo è in quanto supremo atto politico ecc. Ho capito, come al solito i furbi e gli stronzi salvano il culo (e magari diventano ministri), i fessi e gli onesti pagano per tutti ... Bell'esempio di democrazia e partecipazione e soprattutto cambiamento.
c) Il senso politico. Nessuno ha ancora spiegato a noi poveri inutili e fors'anche mentecatti iscritti della base (che palle 'sta base!!!) perché il PD non ha votato Stefano Rodotà aprendo la possibilità di un reale percorso di cambiamento. Credo abbia ragione Michele Serra: è stata una scelta.



E allora, cazzo, ditelo!!! Nelle forme e nei modi che volete ma diteci la verità! La quale tempo farebbe male a molti. Il dato è chiarissimo ed incontrovertibile: siamo al nodo cruciale. Lo scontro è tra chi vuole un PD moderato, magari più vicino al PPE o ad una forza intermedia, così da salvaguardare e perpetuare l'autoreferenzialità dei gruppi dirigenti centrali e locali che ormai rappresentano spesso solo sé stessi e chi invece vuole un partito di sinistra, moderno, saldamente europeista ma anche fortemente riformista in campo economico e sociale, magari sulla linea del Partito Socialista francese di Hollande. Forse faceva paura proprio questo: già ce li vedo Fioroni e Boccia che votano un Rodotà paladino dei diritti di genere e individuali. Oppure un D'Alema che fa l'accordo con M5S e poi viene travolto da un vero cambiamento culturale e politico.

Sinceramente vedo e sento molti compagni nei circoli che rifiutano di ragionare in questi termini e pongono da un lato l'infallibilità del partito (oh sveglia, siamo nel 2013!) dall'altro l'interesse supremo del paese richiamando il compromesso storico di Berlinguer.
Faccio gentilmente notare che Berlinguer aveva come interlocutore la DC di Moro e Zaccagnini, mica il nano, Alfano e Brunetta. Per cortesia non confondiamo la merda col cioccolato. 
E termino - come chiosa - con quello che ho postato qualche giorno fa su FB:
Scusate ma io come elettore del Pd, tutto sommato neanche tra I più ideologizzati, cosa avrei da spartire con chi ha coperto i picchiatori della Diaz, gli assassini di Aldrovandi, con la xenofobia della Lega, con chi ha voluto la Bossi-Fini, i respingimenti, i Giovanardi, i Fiorito, gli Alemanno, i Sallusti ... E tralascio il folklore, la nipote di Mubarak, il bunga bunga, l'assedio al tribunale di Milano ... Perché, scusate, se il nano avesse vinto il 24 febbraio oggi chi avremmo Presidente? Se ci andava bene Pera. Vorrei capire, il fatto che io con questi non voglia avere nulla a spartire mi connota come antidemocratico? In quel caso orgoglioso di esserlo! Poi io avrei votato da subito Rodotà ma questa è un'altra storia.
Quindi ... not in my name!


sabato 20 aprile 2013

Perderemmo anche con l'Inter ... ovvero la sindrome del Tafazzi

L'altra sera ho sentito da Alex Braga una battuta a mio avviso mitica: "in questo momento il PD perderebbe anche con l'Inter". Da antico interista sono abituato a sconfitte, delusioni e prese per il culo ... Da oggi (no, sbaglio, in realtà da tempo ...) posso sommare alla fede interista anche la militanza nel PD come fonte di tafazzate.
Ciò premesso, e per fortuna ho ancora la capacità di non prendermi sul serio, mi pare assolutamente evidente un dato.
L'Italia subisce dal '94 una deriva di irrigidimento ideologico e culturale che è da un lato dovuta al venir meno per autoimplosione dei tradizionali partiti di massa; dall'altro dall'emergere del fenomeno Berlusconi che ha agito su tre fondamentali direttrici:
a) l'anticomunismo viscerale di buona parte dell'elettorato italiano
b) l'antistatalismo altrettanto viscerale di altrettanta buona parte dell'elettorato italiano
c) le rendite di posizione di cui godono categorie sociali bene identificate.
Ha di fatto messo in pratica una lotta di classe alla rovescia che ha goduto di alcuni formidabili alleati in primis il partito democratico stesso che ha mascherato le sue contraddizioni con un antiberlusconismo di facciata che nei fatti però si è trasformato in un abbraccio mortale in nome (cito in ordine sparso) del senso dello stato, dell'unità nazionale del senso di responsabilità ecc.
Il PD - o buona parte di esso, in primis molta della nostra classe dirigente - ha accettato, anzi si è adeguata ad una deriva di immoralità, corruzione, mancanza di eticità, autoreferenzialità ed autoriproduzione del potere ...
La questione morale che dovrebbe essere uno dei capisaldi della nostra azione civica e politica è diventata un fastidioso inciampo e chi la richiama (minoranze, sinistra, popolo viola, lo stesso M5S) è visto come rompicoglioni o pericoloso sobillatore.
Leggete quello che scrive Panebianco oggi sul Corriere (Corriere.it, 20 aprile): 
"Immaginiamo che cosa sarebbe accaduto se Prodi ... fosse stato eletto con i voti determinanti dei 5 Stelle ... la combinazione fra il suo lungo passato di leader di successo del fronte antiberlusconiano e le modalità della sua elezione avrebbe pesato sull'intero settennato. Eletto da una parte contro l'altra, avrebbe dovuto tenerne conto. E, a causa di quel vizio d'origine, mezzo Paese (quello che non ha votato Grillo né Bersani) non lo avrebbe mai riconosciuto come il «proprio Presidente». Il rischio, per il Paese, sarebbe stato quello di scivolare verso una situazione «venezuelana». Già la scelta aventiniana fatta da Pdl e Lega alla quarta votazione evocava brutti scenari ... C'è poi una diffusa incapacità/indisponibilità (anche fra le élite ) a capire le vere regole della democrazia rappresentativa. Se si sceglie la politicizzazione della Presidenza bisogna trarne le conseguenze: il presidente della Repubblica può essere il frutto di una scelta partigiana (guelfi contro ghibellini, blu contro bianchi, eccetera) solo se egli prevale in una competizione aperta i cui arbitri siano gli elettori. La presidenza politica è incompatibile con il parlamentarismo. È però in qualche modo tragico il fatto che proprio coloro che sembrano tuttora orientati a favore di una scelta partigiana siano gli stessi che più si oppongono all'elezione diretta del presidente. È questo impasto di inconsistenza culturale e di partigianeria cieca che, spesso, fa morire le democrazie". 
Trovo in queste parole il senso vero del momento: uccidere la sinistra (anche se in parte ci siamo già riusciti da soli) tacciata di inconsistenza culturale (abbiamo a che fare con Premi Nobel: Casapound o La Russa); sembra quasi che questo pseudo-editoriale sia stato dettato da qualcuno dei massimi dirigenti del Partito; leggete questa frase:
La malattia del Pd: constatato di che pasta fosse fatto ormai il gruppo dirigente si capisce meglio perché l'anima profonda del partito, la sua vera base (non quella finta, mediatica), sia sempre stata, per anni, prevalentemente dalemiana. Perché Massimo D'Alema è stato l'unico a ereditare non solo i limiti ma anche le virtù (forza, serietà, realismo, indisponibilità a piegarsi ai diktat di piazza o di giornali e intellettuali fiancheggiatori) che caratterizzarono molti del gruppo dirigente del Partito comunista. Quelli, a differenza di questi, «davano la linea», non se la facevano dare.
Mi spiego: è evidente che - con enormi nostre responsabilità ed omissioni (vedi nomi citati) - esiste un unico responsabile della situazione sociale, politica e forse anche economica in cui versa il paese e questo è Silvio Berlusconi. Ribadisco cosa ho scritto ieri in un post:
Scusate ma io come elettore del  Pd, tutto sommato neanche tra I più ideologizzati, cosa avrei da spartire con chi ha coperto i picchiatori della Diaz, gli assassini di Aldrovandi, con la xenofobia della Lega, con chi ha voluto la Bossi-Fini, i respingimenti, i Giovanardi, i Fiorito, gli Alemanno, i Sallusti ... E tralascio il folklore, la nipote di Mubarak, il bunga bunga, l'assedio al tribunale di Milano ... Perché, scusate, se il nano avesse vinto il 24 febbraio oggi chi avremmo Presidente? Se ci andava bene Pera. Vorrei capire, il fatto che io con questi non voglia avere nulla a spartire mi connota come antidemocratico? In quel caso orgoglioso di esserlo! Poi io avrei votato da subito Rodotà ma questa è un'altra storia.
Il problema mi pare proprio quello della incapacità da parte del PD, per paura, per interesse, per calcolo, per incapacità, di capire che la propria base (attenzione, quella vera, non quella prezzolata e collusa) non ne può più di senso di responsabilità, di senso dello stato, di unità della nazione. Vuole sentirsi sinistra:


Questa, secondo Panebianco, ma anche secondo buona parte dei nostri dirigenti, sarebbe la nostra colpa: essere mediatici (ma che minchia vuol dire?), non rappresentare nessuno (appunto, ma voi cosa o chi rappresentate? Mussari?) strizzare l'occhio a sinistra (innegabile, guarda un po'; meglio guardare a destra? Salvo poi accorgersi che a sinistra votano Grillo?). Ce lo siamo sentito dire a Roma, ce lo siamo sentito dire a Pisa (toh, ribadisco, la nemesi dei 101: "chi di 101 ferisce di 101 perisce ..").

Insomma per farla breve: o il PD (o meglio quel che resta del baraccone) gira a sinistra e lo fa con le palle, oppure meglio far festa. Trovo che ci siano tantissimi elementi di contatto con Sel, con Rivoluzione Civile, con il M5S: senso di una morale civile, pacifismo, tutela del territorio, ambiente, modelli di crescita, sobrietà della politica ... Quello che ci divide sono le etichette. Io credo che dobbiamo cominciare realmente a superare le etichette; scrive oggi un bel post Andrea Paganelli (altro pericoloso estremista ...):


Quello che è successo si cercherà di superarlo (e anch'io alla fine darò il mio contributo, quando sarò più sereno). Ma non dovrà essere minimizzato assolutamente. Il 25 aprile che si avvicina mi fa tornare in mente Porzus, partigiani uccisi a tradimento da altri partigiani, per ragioni non attinenti alla lotta che li accomunava. Prodi non è un partigiano qualsiasi, è il fondatore della "brigata", l'ideatore e il fondatore dell'Ulivo prima, e del PD dopo. È Come se il PCI avesse buttato a mare Gramsci...... Allora... A Porzus i superstiti raccolsero i propri morti e si presentarono alla liberazione di Milano accanto a coloro che erano comunque al corrente di quel misfatto, lo fecero per il bene del paese, che poi insieme ricostruirono. Ma l'errore fatale per tutti noi sarebbe invece di minimizzare queste cose, sperando che vengano velocemente accantonate, se l'intento sarà questo penso che non ce la faremo. Rodotá o non Rodotá.
Mentre scrivo questo post arriva la mail di una compagna che decide di restituire la tessera; la leggo e non posso non condividerla. Ne cito alcuni passi:
Il M5S ha tirato fuori un candidato che faceva pienamente parte della tradizione della sinistra. Il fatto che l'abbiano fatto loro con le Quirinarie e non noi è già un segnale. Ma quando questo nome è stato fatto, noi - lalleri e giulivi - abbiamo tirato fuori dal cappello Marini, per di più con una modalità che gridava forte e chiaro all'accordo sottobanco. La sollevazione del web ha impedito il pastrocchio numero uno. Allora si mette in campo Prodi (che a me sarebbe potuto andare bene, anche se preferivo Rodotà o Zagrebelsky), se non altro inviso al PDL (quindi, niente accordo sotto banco). Sono mancati 100 voti, di deputati che non hanno avuto il coraggio di dire apertamente (come sarebbe opportuno fare in democrazia): "non lo vogliamo per le seguenti ragioni". Resta da capire (ma temo si capisca molto bene) per quale motivo il nostro segretario si sia umiliato sino al ridicolo per farsi votare la fiducia da Grillo e poi - quando un voto a Rodotà (parliamo dell'ex - presidente del PDS, non di uno che passa per la strada!) poteva aprire ad una collaborazione con il M5S, si è tirato indietro. Napolitano accetta, immagino che verrà rieletto oggi pomeriggio. Premesso che nulla ho contro Napolitano, questo per me è il de profundis della democrazia parlamentare, e naturalmente di un partito, il PD, ormai completamente disancorato dalla realtàIo mi vergogno dei nostri parlamentari, mi vergogno di un gruppo dirigente autoreferenziale, litigioso, che evidentemente tutto aveva a cuori fuorché il bene del paese. Dato che per ragioni programmatiche non potrò mai votare M5S (troppi punti sono vaghi e molti sono del tutto folli), non mi resta che sperare che si riesca, nel prossimo futuro, a immaginare una nuova forma di partito / movimento, nel quale finalmente si ascoltino le persone (senza finzioni tipo streaming, utilizzato solo quando fa comodo), che si radichi davvero sul territorio e capisca i bisogni delle persone. Questo il PD non ha saputo farlo, e di questo ha una gravissima responsabilità politica.
Ecco, e concludo proprio qui: sono mesi che prendiamo schiaffi (vero A proposito di Pisa?) proprio perché diciamo queste cose; a questo punto prendiamo atto: la crisi è di sistema? Ok prendiamolo in mano questo sistema! O si cambia o si muore: poiché non ho alcuna intenzione di morire, tanto meno per mano della destra, penso sia il caso di cambiare; e credo sia il caso, da domani, di fottercene di tutto e di tutti e di accelerare il cambiamento. Tempo non ce n'è più.

venerdì 29 marzo 2013

Venerdì di Passione ...

Possiamo dire le cose come stanno: con i fascisti e gli sfascisti andateci voi al governo! Ci accusate di irresponsabilità? Ma dove eravate quando venti anni di governo del nano hanno distrutto la coscienza civile e civica del paese, oltre all'economia, alla sanità, all'istruzione, all'occupazione ...? Dove eravate quando questo paese riscopriva la sua anima più marcia, quella che riporterà una destra arrogante e nostalgica al potere e finalmente riuscirà a togliersi i comunisti di torno? Perché questo è il vero problema in Italia, non Berlusconi, non la corruzione, non l'arroganza del potere politico ed economico, non la massoneria che governa le nostre città: togliere di mezzo i komunisti! Renderli dei reducisti, dei giapponesi che difendono l'atollo del Pacifico. Uccidere ogni prospettiva di sinistra riformista: così egoismi, razzismi, liberismi, menefreghismi avranno piena dignità e governeranno i rapporti sociali. Sarà la politica vera del vaffanculo e del fotti (senza neanche chiagnere). Noi non ci saremo, non ci staremo: faremo forse una brutta fine, ma lo faremo con la stessa dignità e la stessa coscienza libera di coloro che permisero a questo cazzo di paese di essere - forse solo formalmente - libero: giovani comunisti, cattolici, azionisti, di giustizia e libertà. Penso a quanti liberali - Duccio Galimberti in testa - capirono subito da che parte stare, e penso oggi quanti ipocriti si riempiono la loro bocca bavosa con la parola "liberali". E sinceramente tutto quello che mi circonda mi fa sempre più schifo. Pasqua vuol dire passaggio: mi sembra che questo paese, ricattato, maltrattato, violentato, stia vivendo la sua passione e il suo passaggio, ma non di resurrezione, bensì verso una lunga notte che lo/ci attende.

giovedì 21 marzo 2013

Un commento sulle primarie (sul blog di Luca Daddi)

La querelle fra due che sono tuoi amici è sempre antipatica da commentare. Però in questo caso sto con Federico. Le primarie chieste oggi sanno di risposta strumentale a un disagio espresso dall'elettorato che - diciamolo - ci ha dato un discreto segnale, anche a livello locale. Forse i segnali di quel disagio andavano colti quando emersero già all'interno del partito. Allora si sarebbe scelto un percorso lineare: primarie per il sindaco - primarie per i consiglieri. Si è scelto un altro percorso, peraltro legittimamente, con un voto pressoché unanime dell'assemblea comunale che è stato rispettato anche da chi, come me, si è battuto per l'ipotesi contraria. Tornare indietro oggi significherebbe rincorrere - ripeto, a mio avviso con una certa dose di strumentalità - una partecipazione che per altri versi è stata almeno parzialmente negata. Se però, come dice giustamente Federico, le primarie sono propedeutiche ad un rafforzamento e ad una qualificazione della squadra allora siano fatte, però consapevoli di una certa schizofrenia insita nel ragionamento e nel percorso. Peraltro nell'ultima assemblea comunale del PD non mi è parso di cogliere questo generale travolgente entusiasmo per queste primarie ...

http://daddi-livorno.blogautore.repubblica.it/2013/03/21/nel-pd-duello-tra-tognocchi-e-russo-sulle-primarie-a-targhe-alterne/

Le idee di "A proposito di Pisa" in vista delle elezioni amministrative 2013


Contributo programmatico di “A Proposito di Pisa” alle forze progressiste

L’esito delle elezioni nazionali ha reso evidente la distanza dei cittadini dalla politica tradizionale e dai suoi riti autoreferenziali. Il deludente risultato del centrosinistra, proprio nel momento in cui le difficili condizioni sociali dovrebbero premiare chi difende il lavoro, indica che i partiti del campo progressista sono percepiti ormai come forze di conservazione, incapaci di interpretare un Paese profondamente cambiato. Sarebbe illusorio pensare che questa crisi di credibilità non riguardi anche il livello di governo locale. Crediamo perciò che soltanto con uno sforzo di radicalità e di chiarezza nelle scelte programmatiche si possa arrestare il processo di erosione del consenso verso i partiti che è già in atto. Partendo da queste riflessioni e dalle iniziative promosse in questi mesi, l'associazione “A Proposito di Pisa” propone all'attenzione delle forze progressiste alcuni punti qualificanti per un programma di governo cittadino. 
Sociale 
La linfa vitale di una città passa dal suo essere e sentirsi una comunità coesa e solidale. Pisa vive profonde lacerazioni che l'amministrazione deve governare investendo nella partecipazione, sulla sussidiarietà che il terzo settore esprime, definendo e garantendo i livelli essenziali dei servizi che si impegna ad assicurare. Sono questi gli elementi essenziali su cui fondare un nuovo patto sociale, perché nel dialogo e nel confronto possa ricostruirsi un progetto condiviso di società. Allora una città accogliente aiuta i bambini, i cittadini di domani, ad andare a scuola senza distinzione sul possesso del permesso di soggiorno o la regolarità dell'abitazione che i genitori sono in grado di garantire. Una città coesa investe nei quartieri, nelle periferie, per creare spazi aperti di aggregazione e partecipazione: le scuole, le circoscrizioni, ogni edificio pubblico può e deve diventare uno spazio in cui l'incontro e le possibilità di ascolto si moltiplicano, dove si pratica la solidarietà e la gratuità. Una città che non teme di affrontare i problemi complessi del territorio, evita le scorciatoie, supera l'esperienza delle ordinanze e investe nella mediazione, mettendo al centro del sistema le persone, perché gli ultimi - al pari di tutti i cittadini hanno dignità e umanità. Una città che promuove benessere pratica l'integrazione delle politiche, pianifica il territorio pensando primariamente alla salute, consolida le reti di buone prassi e investe in prevenzione assumendosi l'onere di assicurare servizi equi e accessibili per tutti. 
Trasparenza 
La trasparenza è il miglior antidoto contro la sfiducia nella politica, oltre ad essere una condizione essenziale per garantire l'efficienza della macchina amministrativa. Spesso le zone di confine tra politica e amministrazione sono quelle il cui controllo è più difficile. Le amministrazioni locali, che contribuiscono a nominarne i vertici, devono adottare tutte le misure perché le scelte siano basate esclusivamente sul merito ed estranee ad ogni scambio politico. Per questo è necessario che la prossima amministrazione adotti un regolamento che promuova pubblicità e trasparenza, introducendo delle procedure che incoraggino a candidarsi per le posizioni aperte chiunque abbia competenze documentabili corrispondenti ai profili richiesti. Seguendo le migliori esperienze nazionali chiediamo che si formino commissioni di esperti indipendenti per scremare le candidature, che i CV dei candidati e gli atti relativi alla nomina siano pubblici e consultabili, che le commissioni consiliari possano audire le persone che il sindaco intende nominare e che l'anagrafe reddituale e patrimoniale, già obbligatoria per gli amministratori, sia estesa ai nominati. 
Ambiente, territorio, turismo 
Lo sviluppo intelligente è quello che migliora la qualità della vita delle persone con scelte sostenibili per l'ambiente. Crediamo nelle attuali condizioni economiche sia da privilegiare la scelta del recupero e della riqualificazione delle aree già urbanizzate e degli edifici dismessi, prevenendo l'uso di territorio attualmente non urbanizzato. La politica dello sviluppo a volumi zero può essere vincente, ma deve riflettersi in azioni conseguenti: le scelte su come realizzare il nuovo palazzo dei congressi e il parco cittadino di Cisanello sono un primo banco di prova per dimostrare questa nuova filosofia. Il territorio della nostra città è in gran parte compreso all'interno di un parco regionale, la cui presenza ha un'incidenza qualitativa straordinaria nelle politiche per la destinazione di uso del territorio, oltre a costituire un'importante opportunità sia per la qualità della vita dei residenti sia per le attività economiche che dal parco traggono beneficio. In questi anni non si è sviluppato pienamente il potenziale positivo di queste risorse; ci sono spazi per cogliere la dinamica tumultuosamente in crescita dei nuovi segmenti del turismo sostenibile basati su un uso non erosivo dell'ambiente: mobilità dolce, vie d'acqua, piste ciclabili, trekking, ricettività diffusa. Questi indirizzi devono avere uno spazio maggiore, per costituire freno e correttivo rispetto al modello che in questi anni si è voluto privilegiare, con la costruzione di seconde case, mega strutture ricettive, uso intensivo degli arenili, incoraggiamento della mobilità su auto con la costruzione di parcheggi e proposte di nuove strade. La stessa questione dell'uso degli arenili dovrà essere sottratta al vicolo cieco della Bolkenstein, e raffrontata mettendo al centro una proposta di turismo in cui la cura del bene comune, la spiaggia, torni a essere affrontata come questione di programmazione locale e non come se le spiagge fossero commodities


martedì 19 marzo 2013

Voglio essere sincero ...

In questi giorni di fermento molti amici, tante persone che stimo profondamente, mi stanno cercando per discutere della situazione politica cittadina, forse anche per capire cosa farò, dove andrò ... È difficile trovare tempi e modi per esprimere le proprie idee in maniera approfondita, articolata e - speriamo - coerente. Per cui lo scrivo, sperando che questo possa essere sufficiente. Almeno per me lo è, la scrittura come forma di catarsi, di sfogo ... Ci provo.
Non andrò da nessuna parte, resto dove sono. Sono legato a tante persone nel PD, a vecchi militanti, a persone cui mi lega stima, affetto, anche un senso di fratellanza e cammino condiviso. Sono legato ad un'idea di cambiamento che passa attraverso l'esperienza di questo partito, radicato sul territorio: penso quando scrivo queste parole a Paola, a Luigi, ad Auro, a Mimma, ad Ilaria, ad Euro. Penso a mio padre. Penso alla gente con cui nel circolo ci confrontiamo ogni riunione. Ed è gente normale, gente che veramente vuole cambiare il paese. Gente che viene da esperienze forti di militanza nel PCI, gente che ha vissuto l'esperienza sofferta del movimento cattolico sociale, gente che si è avvicinata al partito per mille altri motivi. Poi penso agli amici del PD con cui abbiamo movimentato un po' questi mesi: a Antonio e a Stefano che conosco da quando si era bimbetti, noi di Santo Stefano, lui di San Pio X. Penso che ci siamo incrociati mille volte per poi capire a quarant'anni che abbiamo la stessa idea di mondo, o forse l'abbiamo sempre avuta e non ce ne siamo mai accorti. Penso a quelli che ho conosciuto da poco, Samuele, Miro, Federico. Penso a Emilio con cui ci scontrammo ai tempi della Rete. Penso a Fabiano e a quanto mi sarebbe piaciuto conoscerlo e frequentarlo prima. E penso che non mi vergogno neanche un po' di quello che ho deciso di fare, di come l'ho fatto di perché l'ho fatto. E non mi crea alcun problema il continuare a farlo all'interno del PD, di un PD fatto dalla gente e per la gente, lontano anni luce dall'idea che sta passando di un partito di apparato tutto proteso ad un'autoreferenzialità suicida. Poi l'ho detto e lo ripeto: tante cose non vanno, tante dinamiche sono da cambiare, tante parole di sinistra vanno dette (o ri-dette), anzi urlate (o ri-urlate). Va fatto a Roma e va fatto a Pisa: almeno mi sento tranquillo di averlo fatto e di averlo detto, anche di averlo urlato. E mi va di continuare a farlo, tranquillamente, senza cercare la luce della ribalta. Se c'è una cosa che devo a mio padre - fra tanti scontri ed incomprensioni - è il senso del servizio. Penso di essere l'unico presidente delle Acli che non ha fatto carriera politica: c'è chi dice che è perché sono un coglione, perché ci credo veramente, anzi perché ci sto male da quanto mi tuffo nelle cose. Alla fine non me ne frega più di tanto dei giudizi: l'unica entità a cui riconosco il diritto al giudizio è la mia coscienza.
Questi sono stati mesi per me di tensione politica e personale, di lacerazione di rapporti, di fatica della/nella mediazione. Non è per me il momento della fuga ma quello della testimonianza sofferta e coerente. E non per cercare visibilità (per inciso non ho intenzione di candidarmi a nulla).
Quindi cari amici (e compagni), è giusto che ognuno faccia la sua strada, quella dove il cuore e la testa vi porta. E credo che passato questo periodo ci sarà modo di camminare insieme. Ci credo, lo spero e dobbiamo tutti fare in modo che questo avvenga, senza sentirci pregiudizialmente "nemici". Io almeno la vedo così. Il nemico è un altro.
E contro quello dobbiamo essere pronti e vigili. Certo questo nemico si insidia anche tra di noi, si nutre del pregiudizio, si pasce dell'egoismo. Prolifera nell'ambizione. È su questo che dobbiamo mantenere lo sguardo attento e vigile, la coscienza critica anche quando la critica crea tensione e dolore. Per testimoniare almeno un po' di verità e di giustizia come ci chiede la storia e la nostra coscienza e, almeno per me, anche la fede.

giovedì 14 marzo 2013

E questo è quello che dice l'altro Stefano (Landucci) ...


Landucci, il consigliere Pd si ispira al cardinal Martini


Settemila e oltre. Tanti i voti che il Partito democratico ha perso a Pisa alle ultime politiche rispetto al 2008.
Lo dice Stefano Landucci, consigliere comunale Pd, ricordando come “con molti amici e con l’associazione A Proposito di Pisa avevamo da tempo lanciato un allarme: in tanti cittadini, elettori del Pd, si percepisce una distanza crescente rispetto alle scelte, a livello locale come nazionale, del mio partito”.
“L’allarme – prosegue Landucci – si è rivelato fondato e i fatti, purtroppo, parlano chiaro: in città, alle ultime elezioni politiche, il Pd ha lasciato per strada oltre settemila voti”.
Landucci fu tra coloro che nell’autunno scorso chiesero le primarie per la scelta del candidato sindaco. Il progetto non andò in porto, ma l’obiettivo – ricorda il consigliere – era “portare all’attenzione del centrosinistra pisano alcuni temi che riteniamo cruciali per il programmas di governo della città. Temi che stanno diventando, almeno sulla carta, patrimonio di molti”.
Landucci dà un’apertura di credito a Marco Filippeschi: “Pur mantenendo dubbi e preplessità, che nascono dalle esperienze recenti, voglio guardare con fiducia e leggere in modo costruttivo le aperture del documento programmatico del sindaco”, ricandidato dal centrosinistra alle amministrative di maggio.
Poi il consigliere, per il quale l’ascolto dei cittadini è “una strada da intraprendere con decisione”, lancia alcuni spunti di riflessione, “sperando che possano contribuire a un dibattito costruttivo”.
E qui arrivano le dolenti note, perché Landucci marca una certa distanza dalle scelte dell’amministrazione di Palazzo Gambacorti.
Punto primo: “A Pisa – sottolinea Landucci – si è costruito troppo: un ulteriore sviluppo edilizio e urbanistico deve essere fatto a volumi zero. Partendo da questo principio si devono rivedere alcuni progetti: ad esempio, è necessario fare marcia indietro rispetto nella prima commissione consiliare per una variante al piano strutturale che prevede anche l’ipotesi di costruire una nuova area congressuale in zona aeroporto”.
Punto secondo: “Serve un indirizzo politico inequivoco sulla difesa dei beni comuni: occorre dare effettiva attuazione all’esito del referendum sulla gestione pubblica dell’acqua”.
Punto terzo: “Si deve rafforzare il dialogo con chi si offre come riferimento per spazi di socialità, come il Teatro Rossi o il Municipio dei Beni Comuni, spazi restituiti alla comunità che nei fatti svolgono molte e utili attività sociali e culturali. Si devono inoltre restituire al mondo associativo gli spazi delle ex circoscrizioni per incrementare la voglia e il bisogno d’incontro che il territorio esprime. Credo fermamente che non si possano governare i problemi e i conflitti sociali del nostro territorio con ordinanze, questa modalità appartiene al passato. Piuttosto si valorizzi quanto, sugli stessi temi, viene già messo in atto attraverso il terzo settore”.
Punto quarto: “Si deve porre maggiore attenzione alle periferie, troppo spesso oggetto di degrado e incuria, favorendo investimenti diffusi che contribuiscono a migliorare la qualità della vita”.
Secondo Landucci,  i cittadini “chiedono a chi amministrerà Pisa maggiore attenzione al quotidiano. Se cogliamo la sfida della vivibilità e rendiamo Pisa un luogo d’incontro, saranno tanti di più quelli che sceglieranno di viverci (o di tornarci)”.
Il consigliere Pd conclude con alcune parole del cardinale Martini: “Non occorre necessariamente avere davanti agli occhi una città ideale, ma almeno un ideale di città. Una città fatta di relazioni umane responsabili e reciproche, che ci stanno dinnanzi come un impegno etico. La città non è, dunque, il luogo da cui fuggire a causa delle sue tensioni, dove abitare il meno possibile, ma il luogo nel quale imparare a vivere”.

E questo è quello che pensa Giuseppe ...



Una riflessione sulla Campagna d'ascolto promossa dal Sindaco Filippeschi - di Giuseppe Fabbri

Ho avuto modo di leggere, devo dire con piacere, il documento politico programmatico del Sindaco Filippeschi, aperto a chi "voglia far convergere il proprio contributo".

E'una proposta che va accolta con impegno e, anche, riconoscenza. Nello scorso autunno, eravamo stati critici, talvolta anche aspramente, su alcune scelte politiche non condivise. Pur nel rispetto reciproco e nella lealtà che ha sempre contraddistinto i mutui rapporti personali, io decisi di concludere il mio impegno politico nel PD.

Sicuramente il quadro politico è cambiato, vi è stata un'accelerazione anche socio-culturale, ma devo dire che i temi proposti nel documento sono apprezzabili e ben articolati. Se la critica è costruttiva e motivata, può essere un prezioso contributo al miglioramento del vivere comune e alla crescita civile e sociale. Così come va riconosciuto un merito a una classe dirigente che ascolti anche contributi apparentemente divergenti. Ciò è tanto più importante quanto più avanzano nel paese forze massimaliste, che propongono soluzioni elementari e velleitarie a problemi complessi, con un obliquo modello latamente eversivo teso a superare il concetto di democrazia rappresentativa.
Di ciò il Sindaco è stato meritoriamente consapevole: ad una lettura attenta non sfugge che il modello proposto non è strumentale, "di tendenza", ma correttamente rivolto a proporre nuovi strumenti di partecipazione in una trama istituzionale chiara ma aperta. Un modello difficile, ma veramente innovativo e da seguire con grande interesse.
Nel merito, si ritrovano ben delineate istanze che raccolgono il frutto delle esperienze, buone e meno buone, del mandato trascorso. Ad esempio, il coraggioso piano strutturale di Area e il rilancio del litorale, le regole per il recupero urbano, il "patto di comunità", la forte presa di posizione su procedimenti trasparenti e criteri di ricambio nelle nomine. Ho modo di ritenere che questo documento dica molto di più di quanto riportato con ammirevole sintesi e leggibilità.
Appaiono ancora un po' timide le proposte sullo sviluppo economico. E' vero che Pisa ha una struttura di città del terziario pubblico, ma questo può nel medio periodo rappresentare un limite, meno avvertibile ora in tempo di crisi ove il pubblico risente meno del ciclo negativo. L'area vasta della costa toscana, dove Pisa deve avere la "centralità oggettiva" richiamata nel documento, può essere un volano di idee e di nuova imprenditoria che ancora fa fatica ad emergere, se non in contesti di nicchia. Il problema non è una sterile discussione sui confini geografici o sui capoluoghi: vanno create le condizioni per la nascita di nuovi distretti ad alta tecnologia, assistendoli solo nelle prime fasi della crescita. Non solo ICT: le direttrici di sviluppo dei prossimi anni passano prima di tutto dalle energie alternative e dal risparmio energetico, dalla mobilità, dal recupero delle risorse  e dalla riqualificazione degli edifici e delle infrastrutture materiali e immateriali. Su questi temi lavoreranno i nostri figli, che vivranno in ambienti migliori, più puliti, più rispettosi, più sostenibili. Qualche proposta:
- un protocollo esteso alla "macro provincia" che favorisca gli investimenti in questa direzione
- una tassazione locale che, nei limiti delle possibilità normative, tenda a penalizzare i "consumi" inutili, a riqualificare energeticamente gli immobili, a ridurre gli imballaggi e gli sprechi, a penalizzare le colture idrovore
- un maggior ruolo pedagogico e didattico dell'ente Parco e delle utilities partecipate per l'educazione di un cittadino più consapevole
- la promozione, con il contributo della Regione, di strumenti finanziari idonei a sostenere il costo delle riqualificazioni e riconversioni e ad attrarre investimenti privati
- L'attivazione di specifici percorsi formativi, sia a livello accademico che nella formazione professionale, anche post-diploma.

La mia lettera a Luca Daddi: "I campi rom e il fallimento della politica"



“Caro Daddi, sono Stefano Fabbri, ex presidente delle Acli Pisane dal 2000 al 2006, oggi membro dell’Assemblea comunale del Pd e del direttivo dell’associazione A Proposito di Pisa. In quest’ultima veste sono stato uno dei promotori della richiesta di primarie per l’individuazione del candidato sindaco Pd per il Comune di Pisa, richiesta poi respinta nell’Assemblea comunale del Pd nell’ottobre scorso.
Leggo sul tuo ottimo blog Poltrone Pisane due post decisamente interessanti: da un lato l’elezione a presidente provinciale Acli del mio fraterno amico Giacomo Martelli, che fu a suo tempo il segretario generale dell’associazione sotto la mia presidenza. Dall’altra le esternazioni, alquanto discutibili, di Raimondo Pistoia sul problema rom in città.
Le due cose sono legate da un filo ideale: le Acli pisane, sia sotto la presidenza di Federico Gelli che successivamente sotto la mia e in seguito quella di Emiliano Manfredonia, possono essere a buon titolo annoverate tra i soggetti che, come dice Pistoia, hanno trascinato la politica a Pisa “su terreni solidaristici di inimmaginabile sostenibilità e oggi se ne pagano le conseguenze”.
Ovviamente ogni libero cittadino, ha il sacrosanto diritto – riconosciuto dalla Costituzione – di esprimere le posizioni che ritiene opportune; mi permetto però di osservare come – nella particolare posizione in cui viene a trovarsi Pistoia, che peraltro anche tu riconosci nel tuo post – un minimo di attenzione e giudizio siano richiesti.
A questo proposito mi preme ricordare come le posizioni del Pd nazionale, espresse in più occasioni, vadano in senso ampiamente contrario rispetto a quanto sostenuto. In particolare il Pd è in prima fila tra i promotori e sostenitori di una legislazione tesa a favorire l’integrazione delle minoranze rom e sinti in Italia, iniziativa che si pone nel solco di una riflessione politica e legislativa sul tema delle minoranze etniche che lo stesso Parlamento Europeo in più occasioni ha sollecitato.
Sarebbe interessante sapere se – come tu stesso ti domandi sul tuo blog – le posizioni ed i toni espressi siano in qualche modo condivisi dall’assessore Ciccone che, in tal caso, a mio avviso, dovrebbe trarne qualche conseguenza.
La stessa domanda potrebbe essere posta al segretario comunale del Pd con il quale, anche personalmente, ho avuto modo di discutere del problema specifico trovandoci spesso su posizioni distanti, ma entrambi consapevoli della necessità di non alimentare con iniziative fuori luogo sentimenti di xenofobia o razzismo. Pisa è una città che – nonostante ciò paia disturbare oltremodo – negli anni ha dimostrato una forte capacità di accoglienza e mobilitazione, basti pensare all’attività di Africa Insieme, della Caritas Diocesana o del volontariato laico e cattolico, ad iniziative come quella di “Città Sottili”. Su questi temi i partiti invece paiono avere più difficoltà forse perché il tema va a toccare corde nel sentire comune che pericolosamente agiscono sulla leva del consenso. E’ innegabile che la situazione a Pisa oggi abbia un carattere per molti aspetti emergenziale la cui soluzione non può però essere delegata alla sola iniziativa di “prefetti e questori” come qualcuno da più parti, anche nel Pd, auspica.
A volte una parola non detta contro il razzismo pesa più di tanti discorsi sull’integrazione: il problema nasce quando anche a sinistra dobbiamo spesso ricordarci di questo fondamentale principio. Va confutato uno dei pregiudizi più diffusi per cui i rom vivrebbero nei campi per scelta: i rom vivono nei campi perché per decenni non abbiamo dato loro nessuna alternativa. Quindi scagliarsi oggi contro il sovraffollamento o le realtà insostenibili come quella di Oratoio niente altro è se non il riconoscimento del fallimento della politica, locale certo, ma anche, e qui Pistoia ha ragione, dei Comuni e Province limitrofe.
Per me, come per molti amici con cui mi sono confrontato prima di scriverti questa mail, eliminare il degrado dei campi rom deve essere un obiettivo preciso, così come lo devono essere l’affermazione e la difesa dei principi di pari dignità, di tutela dei minori, dell’uguaglianza di genere e di non discriminazione”.http://daddi-livorno.blogautore.repubblica.it/2013/02/25/i-campi-rom-e-il-fallimento-della-politica/

mercoledì 13 marzo 2013

Quello che ho detto l'11 marzo all'Assemblea Comunale del PD


Secondo una delle analisi più lucide sul voto del 24 e 25 febbraio il confronto si è giocato lungo la linea cambiamento-appartenenza. Un quarto dell’elettorato ha lasciato le vecchie appartenenze e le vecchie categorie culturali, sociali e politiche ed ha scelto di mandare un segnale di cambiamento. L’altra parte del paese, quella maggioritaria, ha dato il proprio voto al partito e alla coalizione cui si sente legato con un voto inerziale che ha perpetuato un comportamento elettorale carico di delusioni e disincanti. È necessario provare a cominciare a leggere la realtà con occhi diversi accettando una dimensione nuova in cui l’appartenenza è fluttuante, liquida. E dobbiamo, credo, mettere da parte le nostre certezze e partire da zero da una tabula rasa sulla quale ricostruire un percorso. Non credo sia il momento dei distinguo: serve l'umiltà e la fatica del costruire la categoria del nuovo tutti insieme. Se abbiamo perso lo abbiamo fatto tutti e da qui dobbiamo ripartire. Condividiamo infatti con orgoglio e consapevolezza il sentirci parte di un movimento popolare riformista di ispirazione socialdemocratica, europeista, che incarna e rielabora due tra le culture fondanti le democrazie del XX secolo: il marxismo ed il cattolicesimo sociale. È da lì che dobbiamo ripartire, dal capire insieme come rendere attuali, moderne, vincenti istanze ideali e valori universali, come presentare una buona e nuova politica, buone e nuove pratiche, che vedano il servizio, la gratuità, la partecipazione come caratteri fondanti. E che vedano nel partito un luogo di confronto e partecipazione aperta, non un’entità chiusa. impermeabile, dogmaticamente intesa. Rischiamo altrimenti la morte della politica come “forma più alta di carità”, spazzata via da un rifiuto che sfocia in un obliquo modello latamente eversivo teso a superare il concetto di democrazia rappresentativa. Penso, amici e compagni, ad un modello "di tendenza", correttamente rivolto a proporre nuovi strumenti di partecipazione con un partito mediatore di una trama istituzionale chiara ma aperta. Un modello difficile, ma veramente innovativo, da perseguire con grande energia.
La nostra proposta deve suscitare consenso e successo presso ambienti e soggetti che il partito riesce marginalmente a intercettare e rappresentare per molti motivi. Si tratta di persone e sensibilità provenienti anche da mondi vitali, ben inserite in un contesto riformista e progressista, ma lontane dalla forma istituzionale del partito. Pensavamo a questi mondi quando con amici e compagni di varia estrazione abbiamo tentato di spingere il PD a una discussione interna su temi come il ripensamento del modello di sviluppo, le politiche di inclusione, la trasparenza di scelte, atti e processi amministrativi. Siamo consapevoli di aver commesso errori che hanno nuociuto alla serenità del dibattito nel partito. Alcuni passaggi e toni nella nostra critica sono stati sbagliati ed hanno portato la dialettica politica ben sotto il confine della correttezza. Rivendichiamo però un ruolo importante nell’aver aperto un dibattito forte dentro e fuori il partito che che oggi ci porta tutti a condividere l’esigenza di un cambio di passo. Se la critica è costruttiva e motivata, può essere un prezioso contributo al miglioramento della proposta civile, del vivere comune e della crescita civile e sociale. Così come è fondamentale una classe dirigente che abbia la capacità di ascoltare anche contributi apparentemente divergenti. 
Troviamo oggi nel documento politico programmatico di Marco Filippeschi, aperto a chi "voglia far convergere il proprio contributo", temi e contenuti apprezzabili ed innovativi. Ad esempio, il piano strutturale di Area e il rilancio del litorale, le regole per il recupero urbano, il "patto di comunità", l’attenzione alle periferie, la presa di posizione su procedimenti trasparenti e criteri di ricambio nelle nomine. La sottolineatura della difesa dei beni comuni ed il riconoscimento di uno sviluppo che guardi alla compatibilità ambientale a volumi “zero” e sono passaggi importanti che auspichiamo non restino enunciati di principio. Proprio per questo pensiamo che ci siano alcuni elementi che dovrebbero essere posti al centro dell’agenda a cominciare da una revisione critica che auspichiamo porti alla rinuncia al progetto di insediamento di un’area congressuale all’aeroporto Galileo Galilei; e ancora: un rilancio dell’attività di raccolta rifiuti porta a porta; lo stop al consumo di terreno agricolo; la difesa dei beni comuni, primo fra tutti l’acqua che deve rimandere un bene assolutamente pubblico; una miglior programmazione, peraltro prevista nel piano di area vasta, tra i comuni della cintura su mobilità, rifiuti, servizi al cittadino, identità culturale. È importante che il rinnovamento che si intravede incida anche su un nuovo modello di rapporti tra politica ed amministrazione, che talvolta sono apparsi poco fluidi ed equilibrati. In questo quadro è auspicabile che la prossima amministrazione si dia un regolamento per le nomine in enti e società partecipate che faccia del merito, della trasparenza e della responsabilità i tre cardini fondamentali, per far sapere ai cittadini che abbiamo recepito la richiesta di un cambio di passo verso la nuova politica.
Sempre a proposito dell’aeroporto, senza entrare nel merito del complesso dibattito sulla società unica, è da valutare una politica commerciale volta ad un maggior equilibrio tra vettori – low cost e non – per evitare quanto accaduto ad esempio al Catullo di Verona che avrebbe effetti devastanti sulla situazione economica cittadina e sugli investimenti del People Mover.
Le direttrici di sviluppo dei prossimi anni passano prima di tutto dalle energie alternative e dal risparmio energetico, dalla mobilità, dal recupero delle risorse e dalla riqualificazione degli edifici e delle infrastrutture materiali e immateriali, dal turismo sostenibile e verde. In questo senso riteniamo prioritario penalizzare i "consumi" inutili, riqualificare energeticamente gli immobili, ridurre gli imballaggi e gli sprechi. Allo stesso modo perché non investire in un maggior ruolo pedagogico e didattico dell'ente Parco e delle utilities partecipate per l'educazione di un cittadino più consapevole, a partire dalle scuole?
Ci sono molte altri temi e proposte che riteniamo qualificanti come la programmazione a medio e lungo termine del trasporto pubblico urbano e suburbano; l’individuazione di un modello di turismo più consapevole che parta dalla valorizzazione delle eccellenze, prima tra tutte il Parco di San Rossore ed il nostro litorale: in questo senso è per noi non percorribile ogni ipotesi di asfaltatura delle cosiddette strade bianche che collegano l’abitato di Marina alla pineta e alla campagna o di costruzione di nuove strade nella pineta; ancora, il rafforzamento di un dialogo con tutte le istanze che in città pongono il problema degli spazi di socialità (pensiamo al Teatro Rossi o al Municipio dei Beni Comuni). La linfa vitale di una città passa dal suo essere e sentirsi una comunità coesa e solidale. Pisa vive oggi lacerazioni che l'amministrazione deve governare investendo nella partecipazione, nella sussidiarietà che il terzo settore esprime, definendo e garantendo i livelli essenziali dei servizi che essa si impegna ad assicurare. Sono questi gli elementi essenziali su cui fondare un nuovo patto sociale, perché nel dialogo e nel confronto possa ricostruirsi un progetto condiviso di società. Allora una città accogliente aiuta i bambini, i cittadini di domani, ad andare a scuola senza distinzione basata sul possesso del permesso di soggiorno o la regolarità dell'abitazione che i genitori sono in grado di garantire. Una città coesa investe nei quartieri, nelle periferie, per creare spazi aperti di aggregazione e partecipazione: le scuole, le circoscrizioni, ogni edificio pubblico può e deve diventare uno spazio dove l'incontro, e le possibilità di ascolto si moltiplicano, dove si pratica la solidarietà e la gratuità, dove poi l’amministrazione fa una sintesi nell’interesse della collettività. Una città che non teme di affrontare i problemi complessi del territorio supera l'esperienza delle ordinanze ed investe nella mediazione, mettendo al centro del sistema le persone, perché gli ultimi – al pari dei cittadini – sono sempre persone che hanno dignità ed umanità. Una città che promuove benessere pratica l'integrazione delle politiche, pianifica il territorio pensando primariamente alla salute, consolida le reti di buone prassi ed investe in prevenzione assumendosi l'onere di assicurare servizi equi ed accessibili per tutti i cittadini. In sintesi ci piacerebbe che nella nostra immagine di città ci fosse spazio per una “Pisa città dell’uomo a misura d’uomo”. Come diceva Lazzati infatti “con questa espressione poniamo subito l’uomo al suo posto e si può su di esso fissare l’attenzione come su colui dal quale la città prende vita e verso il quale la città è volta come a proprio fine”.
Ed è per tutto questo che speriamo sinceramente possano essere avviati dei reali e leali percorsi di condivisione degli elementi programmatici che ho illustrato perché possano trovare spazio nel programma di mandato, per garantire al Partito Democratico un successo il più ampio possibile. In questo senso riteniamo che l’allargamento della coalizione a Sinistra e Libertà rappresenti un passo importante che interpreta un sentire diffuso nonché l’esigenza strategica di conformarsi alla realtà politica nazionale e locale. È necessario che in campo scendano tutte le forze responsabili e che si presentino alle elezioni portando insieme contenuti e volti: persone credibili  e rappresentative che tolgano quanto spazio possibile al Movimento 5 stelle e al suo qualunquismo.