sabato 18 maggio 2013

"Band of brothers" (ovvero non la solita riunione di autoanalisi ...)



Stamani (rubo la foto a Tiziana) bella, ma veramente bella riunione – neanche troppo carbonara in verità – di quei matti che in giro per il PD toscano pensano che Pippo Civati possa essere un buon segretario nazionale.
Intanto età media finalmente ampiamente, ma ampiamente under 75 (mi sentivo vecchio ...). E questo è già un bel segnale.
Poi – credo anche questo possa essere considerato un evento dal vago sapore escatologico – segnalo la presenza di almeno 3 passeggini regolarmente occupati  in sala. Tante donne, e come detto sopra anche qualche mamma (e anche qualche babbo che si spupazzava sapidamente e gioiosamente il pargolo).
Interventi semplici, assenza assoluta di giugulatorie masturbatorie, linguaggio spontaneo, ampi e diffusi sorrisi, risate sparse, clima assolutamente "easy", mancava solo un po' di prosciutto e il vino bòno e sarebbe stato il massimo! Intendiamoci, non è stata una riunione modello Democratici Anonimi: "Ciao sono Stefano, voto PD da una vita ...". 
Tutt'altro: diffusa incazzatura sullo stato del partito ma gran voglia di rimboccarsi le maniche e di fare il bene del PD e della sinistra italiana: mi ha colpito in particolare l'intervento di un amico di Prato che ha sostanzialmente detto "ho lasciato SEL per iscrivermi un mese fa al PD perché la crisi del PD è la crisi della sinistra italiana, e questo è il momento di esserci per fare qualcosa"!
Insomma mentre di solito la sala che ci ha accolto ospita riunioni che massacrano i testicoli più della ormai mitizzata proiezione della Corazzata Potionkin, oggi ho assaporato qualcosa di nuovo, o per lo meno qualcosa che non assaporavo da tempo: la voglia vera di fare politica. Attenzione: politica, non correnti o "sensibilità diverse".
Come ho detto nel mio intervento, è bene essere inclusivi al massimo, anche perché il partito rischia fortemente di diventare sempre più esclusivo. Esclusivo perché esclude invece di aprirsi; esclusivo perché proprietà esclusiva di potentati e lobby – quelle sì – distruttive. Per noi deve essere centrale il senso e la voglia del mischiarsi, del non rinchiudersi in un torre d'avorio: presenza, partecipazione, passione, servizio e militanza devono essere le nostre parole d'ordine.
Mi è parso significativo che tutti abbiano condiviso l'affermazione secondo la quale molti di noi hanno fatto negli ultimi anni dei percorsi di partecipazione "inconsapevolmente civatiani", trovando cioè in Pippo Civati soltanto una sorta di personificazione di idee e contenuti che da tempo portiamo avanti. 
Che dire, una bella partenza. Vediamo cosa ne viene fuori. Temo fortemente che per molti di noi (almeno per me) questa sia realmente la fatidica ultima spiaggia. Ma è anche vero che, da buon interista, nei lunghi anni bui ho anche maturato la virtù della pazienza. Come diceva Severgnini sempre a proposito delle beneamata "è l'attesa che rende il gusto della vittoria più intenso"! 

mercoledì 8 maggio 2013

Endorsement (delle elezioni a Pisa)



Perché alle elezioni a Pisa il 26 e 27 maggio sosterrò, voterò e farò votare Stefano Landucci:

1) Perché è un amico: si vabbé, in lista di amici ce ne sono tanti (quasi tutti): Ferdinando, amico fraterno che non me la perdonerà mai, Vladimiro, Ranieri, Gaetano, Luigi, Andrea, senza far torto a nessuno. Ma Stefano è un po' più "amico" di tutti.

2) Perché ci conosciamo da bimbetti anche se lui sconta il vizio capitale di venire da San Pio X (e io da Santo Stefano): cose da vecchia Portallucca ...

3) Perché NON è juventino, anche se NON è interista; ok, è milanista: nessuno è perfetto. Però ha un figlio interista!!!! E comunque sempre meglio del gobbaccio del Mazzeo.

4) Perché è stato alunno di mio padre, e già questo da solo vale tutto l'endorsement, non per mio padre, ma per essere riuscito a resistere! 

5) Perché sua nipote gioca alla Turris, ed è anche bravina!

6) Poi perché abbiamo la stessa idea di partito, di città, di militanza, di fatica quotidiana; perché abbiamo preso (e temo prenderemo) badilate di merda in faccia insieme; perché per noi gli ultimi saranno sempre i primi; perché ci sentiamo parte di un percorso con tanti altri amici; perché è una persona onesta e buona, ha fatto bene e credo potrà continuare a farlo.

P.S.: aggiungo una postilla; per chi non votasse PD segnalo due carissime amiche, due compagne di quelle "toste", nonché veramente due gran belle persone: Simonetta Ghezzani (nelle liste di SEL) e Maria Francesca Zini (nella lista "Una città in Comune")


giovedì 2 maggio 2013

Fedeli alla linea, ma la linea non c'è ... (del senso di realtà)



Fedeli alla linea, anche quando non c'è

Quando l'imperatore è malato quando muore o è dubbioso o è perplesso
Fedeli alla linea la linea non c'è 

Così cantavano Giovanni Lindo Ferretti ed i CCCP tanti ma tanti anni fa, quando la fedeltà alla linea era (ancora) un dogma. Dogma che oggi pare risorgere in un'Italia completamente diversa, dove i percorsi personali, anche i più sofferti (e quello del buon Ferretti Giovanni Lindo ne è esempio paradigmatico) si innestano in un contesto culturale, sociale, etico di enorme frammentazione e fragilità.
Ho già detto più volte, ma giova ripeterlo, che la principale causa di questa profonda degenerazione socio-etica sta nella figura di Silvio Berlusconi che rappresenta - anzi incarna - ciò che un paese solo superficialmente democratico come l'Italia, venera come vitello d'oro pagano: l'antistatalista, l'antisistema cialtrone ed egoista, l'a-solidale, il vagamente razzista, il cummenda, il chiagni e fotti, il fotti e basta …
Peraltro (tesi non mia ma di vari storici della politica) la storia italiana dell'ultimo secolo testimonia di come ai momenti di maggior tensione politica e sociale segua, con puntualità, un rafforzamento delle forze conservatrici, diciamo una sorta di immediata restaurazione. 
Berlusconi è figlio del '92, di Mani Pulite, della disgregazione di un sistema che non aveva né dava più punti solidi di appiglio. 
A maggior ragione oggi, Berlusconi - e comunque il moderatismo, il solido caro vecchio centro in stile Democrazia Cristiana - rappresenta un approdo cui i tanti ex e nostalgici (per non dire revanscisti) vagheggiano con ludibrio quasi sensuale. È tutta un'ode alle larghe intese, al senso di realtà (e le convergenze parallele no?). E quello che stupisce è l'acrimonia dei tanti ex contro chi si pone in dissenso. 
Capisco gli ex DC, oggi si ritrovano a casa: ai più vecchi sentendo Enrico saranno venute le lacrime agli occhi, gli sarà sembrato di sentire Fanfani. Ma quelli che faccio fatica a comprendere sono gli ex PCI (fedeli alla linea ...). La storia del PCI cui ammetto mi sono avvicinato solo negli ultimi anni, è per certi versi entusiasmante e bellissima. Però ho l'impressione che ancora oggi si fatichi ad accettare quello che il partito ha sempre considerato al suo interno il male assoluto: il frazionismo (le correnti DC codificate nel manuale Cencelli per capirci). E guarda caso - peculiare peraltro - le reazioni più violente sono sempre andate alle ali estreme (a sinistra): penso ad esempio al gruppo del Manifesto.
Oggi il bersaglio di tanto astio (perché di questo si tratta, mascherato da dialettica interna, ma basta sentirli nei circoli o nelle assemblee di partito per capirlo) sono i cosiddetti "giovani intellettuali", Civati in testa; nelle ultime riunioni cui ho partecipato la frase più gentile che ho sentito è stata "sì, ma lui è di Civati"). 
A parte che io sono di me stesso, e mi interessa il giusto la collocazione civatiana, mariniana o staminchiana (stavo pensando di fondare la corrente "'sta minchia" ...). Il punto centrale è: è tollerato o accettabile, non dico formalmente (nel precedente post ho approfondito il tema delle espulsioni), quanto sostanzialmente nella pratica quotidiana che vi sia qualcuno (uno, nessuno, centomila, un milione ...) che non è d'accordo?
La risposta è sempre a stessa: in questa situazione ci vuole senso della realtà. 
È vero: infatti il PD fino ad oggi non l'ha avuto. Come già il PCI nel '68, si è trovato del tutto impreparato di fronte a quella che Gramsci definì "una rottura generazionale", intendendo con questa espressione il passaggio della gioventù dopo la I guerra mondiale dal socialismo al fascismo. Allo stesso modo, oggi assistiamo ad un voto giovanile prevalentemente indirizzato al grillismo (e con questo non intendo fare alcun parallelismo) o all'astensione.
Qualcuno ha deciso che (e nel precedente post ho già criticato il metodo - ma la linea non c'è ...) anche per oggettive ed evidenti responsabilità della controparte, che il dialogo con M5S non era praticabile (peraltro mentre Longo nel '68 incontrò i capi del movimento romano - pur non condividendone tesi e metodi - da pari a pari, il nostro approccio con il M5S è stato indeciso, pavido ed evidentemente strumentale, lo ha riconosciuto anche Marina Sereni). Qualcuno ha deciso che erano necessarie larghe intese. Qualcuno ha deciso che il nascente governo dovesse nascere sulle ceneri dell'Ulivo, ucciso – quello sì, a tradimento – dai vili (perché di tali si tratta) che oggi magari siedono al governo (o vi hanno fatto sedere qualcuno).
Ora dicono ci sarà il Congresso. Sì, se ne avvertono già i segnali: un bel Congresso chiuso, riservato agli iscritti magari del 2001, che non considererà minimamente chi ha votato alle primarie, che cercherà di distaccarci sempre più dalla realtà. 
Ma tant'è: non è che questo scoraggia, tutt'altro. Magari almeno facciamo in modo che questa volta il Congresso sia bello tosto, bello duro, con delle belle tesi contrapposte, con dei bei modelli di partito contrapposti. Non è - credo - che abbiamo paura della minoranza: è una vita che – almeno io – sono in minoranza ... 
Quello che realmente spaventa è l'omologazione complessiva che tanto sa di autoreferenzialità, che trasforma il partito da un luogo di confronto, ad un intreccio di interessi. 
Spaventa che in nome di questa omologazione qualcuno ci voglia raccontare le favole o fare le lezioni di politica. Lo sappiamo fin troppo bene che siamo ad un passaggio storico, sociale e culturale dirimente: secondo voi perché stiamo facendo tanto casino? Ma ve lo siete chiesto? Se le risposte sono del tipo "sì, ma tanto il problema è che Civati voleva fare il ministro" significa che i dubbi che ho esposto sopra sono ben fondati e che, come nel '68, qualcuno ci ha capito veramente poco.