giovedì 27 giugno 2013

"Band of brothers" (ovvero non la solita riunione di autoanalisi ...) - Parte II (si parte a Pisa ...)

Ha ragione Monica: questa volta sembrava proprio una riunione di autoanalisi. Sì, perché la prima riunione del gruppo civatiano di Pisa è sembrata proprio una riunione degli Anonimi Democratici: "Ciao mi chiamo Stefano e milito nel PD da 5 anni, ma sto cercando di smettere! Non ascolto D'Alema da 6 mesi!". Però ci si è ascoltati, cose che la sala di Via Fratti non vedeva da tempo, come dice Miro; qualcuno ha anche preso appunti! E c'erano perfino dei non iscritti che hanno parlato, tant'è che qualche animalista ha minacciato di denunciarci perché abbiamo attentato ad una specie protetta …
Che dire, fuor di metafora una gran bella serata. Se penso che c'è gente che si è sciroppata più di un'ora di macchina per venire da Montescudaio o Palaia la soddisfazione è tanta, ma pesante anche le responsabilità che ora ci carichiamo sulle spalle. Quella dei tanti militanti, iscritti, simpatizzanti, o semplici curiosi che vedono nella candidatura di Pippo, e in noi che la sosteniamo, una delle poche speranze contro il grigiore uniformante che tutto sta avvolgendo. Sta a noi coniugare etica, responsabilità, orgoglio, credibilità, proposte. idee: è quello che la gente ci chiede. Vediamo di riuscirci altrimenti la prospettiva progressista e riformista in questo paese subirà un tracollo definitivo e con essa la possibilità per il paese di risollevarsi.



sabato 18 maggio 2013

"Band of brothers" (ovvero non la solita riunione di autoanalisi ...)



Stamani (rubo la foto a Tiziana) bella, ma veramente bella riunione – neanche troppo carbonara in verità – di quei matti che in giro per il PD toscano pensano che Pippo Civati possa essere un buon segretario nazionale.
Intanto età media finalmente ampiamente, ma ampiamente under 75 (mi sentivo vecchio ...). E questo è già un bel segnale.
Poi – credo anche questo possa essere considerato un evento dal vago sapore escatologico – segnalo la presenza di almeno 3 passeggini regolarmente occupati  in sala. Tante donne, e come detto sopra anche qualche mamma (e anche qualche babbo che si spupazzava sapidamente e gioiosamente il pargolo).
Interventi semplici, assenza assoluta di giugulatorie masturbatorie, linguaggio spontaneo, ampi e diffusi sorrisi, risate sparse, clima assolutamente "easy", mancava solo un po' di prosciutto e il vino bòno e sarebbe stato il massimo! Intendiamoci, non è stata una riunione modello Democratici Anonimi: "Ciao sono Stefano, voto PD da una vita ...". 
Tutt'altro: diffusa incazzatura sullo stato del partito ma gran voglia di rimboccarsi le maniche e di fare il bene del PD e della sinistra italiana: mi ha colpito in particolare l'intervento di un amico di Prato che ha sostanzialmente detto "ho lasciato SEL per iscrivermi un mese fa al PD perché la crisi del PD è la crisi della sinistra italiana, e questo è il momento di esserci per fare qualcosa"!
Insomma mentre di solito la sala che ci ha accolto ospita riunioni che massacrano i testicoli più della ormai mitizzata proiezione della Corazzata Potionkin, oggi ho assaporato qualcosa di nuovo, o per lo meno qualcosa che non assaporavo da tempo: la voglia vera di fare politica. Attenzione: politica, non correnti o "sensibilità diverse".
Come ho detto nel mio intervento, è bene essere inclusivi al massimo, anche perché il partito rischia fortemente di diventare sempre più esclusivo. Esclusivo perché esclude invece di aprirsi; esclusivo perché proprietà esclusiva di potentati e lobby – quelle sì – distruttive. Per noi deve essere centrale il senso e la voglia del mischiarsi, del non rinchiudersi in un torre d'avorio: presenza, partecipazione, passione, servizio e militanza devono essere le nostre parole d'ordine.
Mi è parso significativo che tutti abbiano condiviso l'affermazione secondo la quale molti di noi hanno fatto negli ultimi anni dei percorsi di partecipazione "inconsapevolmente civatiani", trovando cioè in Pippo Civati soltanto una sorta di personificazione di idee e contenuti che da tempo portiamo avanti. 
Che dire, una bella partenza. Vediamo cosa ne viene fuori. Temo fortemente che per molti di noi (almeno per me) questa sia realmente la fatidica ultima spiaggia. Ma è anche vero che, da buon interista, nei lunghi anni bui ho anche maturato la virtù della pazienza. Come diceva Severgnini sempre a proposito delle beneamata "è l'attesa che rende il gusto della vittoria più intenso"! 

mercoledì 8 maggio 2013

Endorsement (delle elezioni a Pisa)



Perché alle elezioni a Pisa il 26 e 27 maggio sosterrò, voterò e farò votare Stefano Landucci:

1) Perché è un amico: si vabbé, in lista di amici ce ne sono tanti (quasi tutti): Ferdinando, amico fraterno che non me la perdonerà mai, Vladimiro, Ranieri, Gaetano, Luigi, Andrea, senza far torto a nessuno. Ma Stefano è un po' più "amico" di tutti.

2) Perché ci conosciamo da bimbetti anche se lui sconta il vizio capitale di venire da San Pio X (e io da Santo Stefano): cose da vecchia Portallucca ...

3) Perché NON è juventino, anche se NON è interista; ok, è milanista: nessuno è perfetto. Però ha un figlio interista!!!! E comunque sempre meglio del gobbaccio del Mazzeo.

4) Perché è stato alunno di mio padre, e già questo da solo vale tutto l'endorsement, non per mio padre, ma per essere riuscito a resistere! 

5) Perché sua nipote gioca alla Turris, ed è anche bravina!

6) Poi perché abbiamo la stessa idea di partito, di città, di militanza, di fatica quotidiana; perché abbiamo preso (e temo prenderemo) badilate di merda in faccia insieme; perché per noi gli ultimi saranno sempre i primi; perché ci sentiamo parte di un percorso con tanti altri amici; perché è una persona onesta e buona, ha fatto bene e credo potrà continuare a farlo.

P.S.: aggiungo una postilla; per chi non votasse PD segnalo due carissime amiche, due compagne di quelle "toste", nonché veramente due gran belle persone: Simonetta Ghezzani (nelle liste di SEL) e Maria Francesca Zini (nella lista "Una città in Comune")


giovedì 2 maggio 2013

Fedeli alla linea, ma la linea non c'è ... (del senso di realtà)



Fedeli alla linea, anche quando non c'è

Quando l'imperatore è malato quando muore o è dubbioso o è perplesso
Fedeli alla linea la linea non c'è 

Così cantavano Giovanni Lindo Ferretti ed i CCCP tanti ma tanti anni fa, quando la fedeltà alla linea era (ancora) un dogma. Dogma che oggi pare risorgere in un'Italia completamente diversa, dove i percorsi personali, anche i più sofferti (e quello del buon Ferretti Giovanni Lindo ne è esempio paradigmatico) si innestano in un contesto culturale, sociale, etico di enorme frammentazione e fragilità.
Ho già detto più volte, ma giova ripeterlo, che la principale causa di questa profonda degenerazione socio-etica sta nella figura di Silvio Berlusconi che rappresenta - anzi incarna - ciò che un paese solo superficialmente democratico come l'Italia, venera come vitello d'oro pagano: l'antistatalista, l'antisistema cialtrone ed egoista, l'a-solidale, il vagamente razzista, il cummenda, il chiagni e fotti, il fotti e basta …
Peraltro (tesi non mia ma di vari storici della politica) la storia italiana dell'ultimo secolo testimonia di come ai momenti di maggior tensione politica e sociale segua, con puntualità, un rafforzamento delle forze conservatrici, diciamo una sorta di immediata restaurazione. 
Berlusconi è figlio del '92, di Mani Pulite, della disgregazione di un sistema che non aveva né dava più punti solidi di appiglio. 
A maggior ragione oggi, Berlusconi - e comunque il moderatismo, il solido caro vecchio centro in stile Democrazia Cristiana - rappresenta un approdo cui i tanti ex e nostalgici (per non dire revanscisti) vagheggiano con ludibrio quasi sensuale. È tutta un'ode alle larghe intese, al senso di realtà (e le convergenze parallele no?). E quello che stupisce è l'acrimonia dei tanti ex contro chi si pone in dissenso. 
Capisco gli ex DC, oggi si ritrovano a casa: ai più vecchi sentendo Enrico saranno venute le lacrime agli occhi, gli sarà sembrato di sentire Fanfani. Ma quelli che faccio fatica a comprendere sono gli ex PCI (fedeli alla linea ...). La storia del PCI cui ammetto mi sono avvicinato solo negli ultimi anni, è per certi versi entusiasmante e bellissima. Però ho l'impressione che ancora oggi si fatichi ad accettare quello che il partito ha sempre considerato al suo interno il male assoluto: il frazionismo (le correnti DC codificate nel manuale Cencelli per capirci). E guarda caso - peculiare peraltro - le reazioni più violente sono sempre andate alle ali estreme (a sinistra): penso ad esempio al gruppo del Manifesto.
Oggi il bersaglio di tanto astio (perché di questo si tratta, mascherato da dialettica interna, ma basta sentirli nei circoli o nelle assemblee di partito per capirlo) sono i cosiddetti "giovani intellettuali", Civati in testa; nelle ultime riunioni cui ho partecipato la frase più gentile che ho sentito è stata "sì, ma lui è di Civati"). 
A parte che io sono di me stesso, e mi interessa il giusto la collocazione civatiana, mariniana o staminchiana (stavo pensando di fondare la corrente "'sta minchia" ...). Il punto centrale è: è tollerato o accettabile, non dico formalmente (nel precedente post ho approfondito il tema delle espulsioni), quanto sostanzialmente nella pratica quotidiana che vi sia qualcuno (uno, nessuno, centomila, un milione ...) che non è d'accordo?
La risposta è sempre a stessa: in questa situazione ci vuole senso della realtà. 
È vero: infatti il PD fino ad oggi non l'ha avuto. Come già il PCI nel '68, si è trovato del tutto impreparato di fronte a quella che Gramsci definì "una rottura generazionale", intendendo con questa espressione il passaggio della gioventù dopo la I guerra mondiale dal socialismo al fascismo. Allo stesso modo, oggi assistiamo ad un voto giovanile prevalentemente indirizzato al grillismo (e con questo non intendo fare alcun parallelismo) o all'astensione.
Qualcuno ha deciso che (e nel precedente post ho già criticato il metodo - ma la linea non c'è ...) anche per oggettive ed evidenti responsabilità della controparte, che il dialogo con M5S non era praticabile (peraltro mentre Longo nel '68 incontrò i capi del movimento romano - pur non condividendone tesi e metodi - da pari a pari, il nostro approccio con il M5S è stato indeciso, pavido ed evidentemente strumentale, lo ha riconosciuto anche Marina Sereni). Qualcuno ha deciso che erano necessarie larghe intese. Qualcuno ha deciso che il nascente governo dovesse nascere sulle ceneri dell'Ulivo, ucciso – quello sì, a tradimento – dai vili (perché di tali si tratta) che oggi magari siedono al governo (o vi hanno fatto sedere qualcuno).
Ora dicono ci sarà il Congresso. Sì, se ne avvertono già i segnali: un bel Congresso chiuso, riservato agli iscritti magari del 2001, che non considererà minimamente chi ha votato alle primarie, che cercherà di distaccarci sempre più dalla realtà. 
Ma tant'è: non è che questo scoraggia, tutt'altro. Magari almeno facciamo in modo che questa volta il Congresso sia bello tosto, bello duro, con delle belle tesi contrapposte, con dei bei modelli di partito contrapposti. Non è - credo - che abbiamo paura della minoranza: è una vita che – almeno io – sono in minoranza ... 
Quello che realmente spaventa è l'omologazione complessiva che tanto sa di autoreferenzialità, che trasforma il partito da un luogo di confronto, ad un intreccio di interessi. 
Spaventa che in nome di questa omologazione qualcuno ci voglia raccontare le favole o fare le lezioni di politica. Lo sappiamo fin troppo bene che siamo ad un passaggio storico, sociale e culturale dirimente: secondo voi perché stiamo facendo tanto casino? Ma ve lo siete chiesto? Se le risposte sono del tipo "sì, ma tanto il problema è che Civati voleva fare il ministro" significa che i dubbi che ho esposto sopra sono ben fondati e che, come nel '68, qualcuno ci ha capito veramente poco.


venerdì 26 aprile 2013

Cartellino rosso (not in my name)




In tanti anni di onorata carriera pallavolistica come giocatore prima, poi come allenatore, mai un'espulsione. Varie ammonizioni si, anche una diffida (da allenatore sono diventato assai incazzereccio, ho un rapporto un po' difficile con la classe arbitrale), ma mai un cartellino rosso. Nella pallavolo poi esistono sia l'espulsione temporanea che quella definitiva, ed è uno sport che tiene molto alla disciplina in campo e al rispetto. Tant'è che l'allenatore non può neanche parlare con l'arbitro: è il capitano che tiene i rapporti con il fischietto ...
Insomma, vuoi vedere che la prima espulsione la becco da quelli del PD. E che cazzo, espulso da Boccia e Franceschini, che tristezza! Un po' come l'espulsione di Totti al mondiale coreano per mano dell'ineffabile Byron Moreno ... Ti prendono per il culo una vita ...


Ma proviamo a fare qualche considerazione. Il motivo dell'espulsione è un gravissimo fallo di gioco: il voto contro la eventuale fiducia al nascente Governo Letta (nello specifico da parte dei pericolosi estremisti Civati, Puppato, Gozi ... noti membri di collettivi riconducibili al mondo antagonista di sinistra).
Le posizioni di Pippo sono ben note e per chi le volesse approfondire rimandiamo al suo blog ciwati.it.
Io mi limito a tre osservazioni/questioni:
a) Il metodo. Mi farebbe piacere che qualche dirigente, militante, simpatizzante, al limite anche il portiere o la donna delle pulizie della sede nazionale mi dicesse in quale sede e con quale metodo sono state maturati i passaggi successivi alla trombatura di Romano Prodi. Nell'ordine: immediata corsa al Quirinale per chiedere la ricandidatura di Napolitano ed indicazione del partito del nome di Enrico Letta. Nell'assemblea dei grandi elettori si è votata la rielezione di Napolitano, per esplicita ammissione di molti, senza neanche attendere che tutti i grandi elettori stessi fossero presenti. Il partito ha soltanto convocato una direzione lampo dalla quale sono emersi due punti: conferma delle dimissioni di Bersani (che ha taciuto più che detto) e immediata quanto intempestiva minaccia di espulsione a chi avesse remato contro. Evitiamo di parlare di democrazia interna ma scusate: chi cazzo ha deciso una linea che è totalmente contraria non solo a quanto emerso dalle primarie in cui hanno votato 3 milioni di elettori e simpatizzanti, ma anche a quanto detto, ripetuto e stradetto dai nostri dirigenti (vedi post di Pippo Civati di oggi per eventuale didascalica conferma)?
b) L'ipocrisia. Mi spieghino in rigoroso ordine cronologico Franceschini, Boccia e Serracchiani per quale motivo si espelle chi come i suddetti dichiara onestamente e democraticamente la propria contrarietà ad un percorso maturato in termini non propriamente partecipativi mentre nessuno pone il problema dei famigerati 101 (non i cuccioli dalmata del famoso film ...). Stefano Ceccanti l'altra sera ha spiegato chiaramente che secondo i regolamenti parlamentari il voto segreto sulle persone non è sanzionabile (e ci credo, chiappali ...), mentre il voto palese sulla fiducia lo è in quanto supremo atto politico ecc. Ho capito, come al solito i furbi e gli stronzi salvano il culo (e magari diventano ministri), i fessi e gli onesti pagano per tutti ... Bell'esempio di democrazia e partecipazione e soprattutto cambiamento.
c) Il senso politico. Nessuno ha ancora spiegato a noi poveri inutili e fors'anche mentecatti iscritti della base (che palle 'sta base!!!) perché il PD non ha votato Stefano Rodotà aprendo la possibilità di un reale percorso di cambiamento. Credo abbia ragione Michele Serra: è stata una scelta.



E allora, cazzo, ditelo!!! Nelle forme e nei modi che volete ma diteci la verità! La quale tempo farebbe male a molti. Il dato è chiarissimo ed incontrovertibile: siamo al nodo cruciale. Lo scontro è tra chi vuole un PD moderato, magari più vicino al PPE o ad una forza intermedia, così da salvaguardare e perpetuare l'autoreferenzialità dei gruppi dirigenti centrali e locali che ormai rappresentano spesso solo sé stessi e chi invece vuole un partito di sinistra, moderno, saldamente europeista ma anche fortemente riformista in campo economico e sociale, magari sulla linea del Partito Socialista francese di Hollande. Forse faceva paura proprio questo: già ce li vedo Fioroni e Boccia che votano un Rodotà paladino dei diritti di genere e individuali. Oppure un D'Alema che fa l'accordo con M5S e poi viene travolto da un vero cambiamento culturale e politico.

Sinceramente vedo e sento molti compagni nei circoli che rifiutano di ragionare in questi termini e pongono da un lato l'infallibilità del partito (oh sveglia, siamo nel 2013!) dall'altro l'interesse supremo del paese richiamando il compromesso storico di Berlinguer.
Faccio gentilmente notare che Berlinguer aveva come interlocutore la DC di Moro e Zaccagnini, mica il nano, Alfano e Brunetta. Per cortesia non confondiamo la merda col cioccolato. 
E termino - come chiosa - con quello che ho postato qualche giorno fa su FB:
Scusate ma io come elettore del Pd, tutto sommato neanche tra I più ideologizzati, cosa avrei da spartire con chi ha coperto i picchiatori della Diaz, gli assassini di Aldrovandi, con la xenofobia della Lega, con chi ha voluto la Bossi-Fini, i respingimenti, i Giovanardi, i Fiorito, gli Alemanno, i Sallusti ... E tralascio il folklore, la nipote di Mubarak, il bunga bunga, l'assedio al tribunale di Milano ... Perché, scusate, se il nano avesse vinto il 24 febbraio oggi chi avremmo Presidente? Se ci andava bene Pera. Vorrei capire, il fatto che io con questi non voglia avere nulla a spartire mi connota come antidemocratico? In quel caso orgoglioso di esserlo! Poi io avrei votato da subito Rodotà ma questa è un'altra storia.
Quindi ... not in my name!


sabato 20 aprile 2013

Perderemmo anche con l'Inter ... ovvero la sindrome del Tafazzi

L'altra sera ho sentito da Alex Braga una battuta a mio avviso mitica: "in questo momento il PD perderebbe anche con l'Inter". Da antico interista sono abituato a sconfitte, delusioni e prese per il culo ... Da oggi (no, sbaglio, in realtà da tempo ...) posso sommare alla fede interista anche la militanza nel PD come fonte di tafazzate.
Ciò premesso, e per fortuna ho ancora la capacità di non prendermi sul serio, mi pare assolutamente evidente un dato.
L'Italia subisce dal '94 una deriva di irrigidimento ideologico e culturale che è da un lato dovuta al venir meno per autoimplosione dei tradizionali partiti di massa; dall'altro dall'emergere del fenomeno Berlusconi che ha agito su tre fondamentali direttrici:
a) l'anticomunismo viscerale di buona parte dell'elettorato italiano
b) l'antistatalismo altrettanto viscerale di altrettanta buona parte dell'elettorato italiano
c) le rendite di posizione di cui godono categorie sociali bene identificate.
Ha di fatto messo in pratica una lotta di classe alla rovescia che ha goduto di alcuni formidabili alleati in primis il partito democratico stesso che ha mascherato le sue contraddizioni con un antiberlusconismo di facciata che nei fatti però si è trasformato in un abbraccio mortale in nome (cito in ordine sparso) del senso dello stato, dell'unità nazionale del senso di responsabilità ecc.
Il PD - o buona parte di esso, in primis molta della nostra classe dirigente - ha accettato, anzi si è adeguata ad una deriva di immoralità, corruzione, mancanza di eticità, autoreferenzialità ed autoriproduzione del potere ...
La questione morale che dovrebbe essere uno dei capisaldi della nostra azione civica e politica è diventata un fastidioso inciampo e chi la richiama (minoranze, sinistra, popolo viola, lo stesso M5S) è visto come rompicoglioni o pericoloso sobillatore.
Leggete quello che scrive Panebianco oggi sul Corriere (Corriere.it, 20 aprile): 
"Immaginiamo che cosa sarebbe accaduto se Prodi ... fosse stato eletto con i voti determinanti dei 5 Stelle ... la combinazione fra il suo lungo passato di leader di successo del fronte antiberlusconiano e le modalità della sua elezione avrebbe pesato sull'intero settennato. Eletto da una parte contro l'altra, avrebbe dovuto tenerne conto. E, a causa di quel vizio d'origine, mezzo Paese (quello che non ha votato Grillo né Bersani) non lo avrebbe mai riconosciuto come il «proprio Presidente». Il rischio, per il Paese, sarebbe stato quello di scivolare verso una situazione «venezuelana». Già la scelta aventiniana fatta da Pdl e Lega alla quarta votazione evocava brutti scenari ... C'è poi una diffusa incapacità/indisponibilità (anche fra le élite ) a capire le vere regole della democrazia rappresentativa. Se si sceglie la politicizzazione della Presidenza bisogna trarne le conseguenze: il presidente della Repubblica può essere il frutto di una scelta partigiana (guelfi contro ghibellini, blu contro bianchi, eccetera) solo se egli prevale in una competizione aperta i cui arbitri siano gli elettori. La presidenza politica è incompatibile con il parlamentarismo. È però in qualche modo tragico il fatto che proprio coloro che sembrano tuttora orientati a favore di una scelta partigiana siano gli stessi che più si oppongono all'elezione diretta del presidente. È questo impasto di inconsistenza culturale e di partigianeria cieca che, spesso, fa morire le democrazie". 
Trovo in queste parole il senso vero del momento: uccidere la sinistra (anche se in parte ci siamo già riusciti da soli) tacciata di inconsistenza culturale (abbiamo a che fare con Premi Nobel: Casapound o La Russa); sembra quasi che questo pseudo-editoriale sia stato dettato da qualcuno dei massimi dirigenti del Partito; leggete questa frase:
La malattia del Pd: constatato di che pasta fosse fatto ormai il gruppo dirigente si capisce meglio perché l'anima profonda del partito, la sua vera base (non quella finta, mediatica), sia sempre stata, per anni, prevalentemente dalemiana. Perché Massimo D'Alema è stato l'unico a ereditare non solo i limiti ma anche le virtù (forza, serietà, realismo, indisponibilità a piegarsi ai diktat di piazza o di giornali e intellettuali fiancheggiatori) che caratterizzarono molti del gruppo dirigente del Partito comunista. Quelli, a differenza di questi, «davano la linea», non se la facevano dare.
Mi spiego: è evidente che - con enormi nostre responsabilità ed omissioni (vedi nomi citati) - esiste un unico responsabile della situazione sociale, politica e forse anche economica in cui versa il paese e questo è Silvio Berlusconi. Ribadisco cosa ho scritto ieri in un post:
Scusate ma io come elettore del  Pd, tutto sommato neanche tra I più ideologizzati, cosa avrei da spartire con chi ha coperto i picchiatori della Diaz, gli assassini di Aldrovandi, con la xenofobia della Lega, con chi ha voluto la Bossi-Fini, i respingimenti, i Giovanardi, i Fiorito, gli Alemanno, i Sallusti ... E tralascio il folklore, la nipote di Mubarak, il bunga bunga, l'assedio al tribunale di Milano ... Perché, scusate, se il nano avesse vinto il 24 febbraio oggi chi avremmo Presidente? Se ci andava bene Pera. Vorrei capire, il fatto che io con questi non voglia avere nulla a spartire mi connota come antidemocratico? In quel caso orgoglioso di esserlo! Poi io avrei votato da subito Rodotà ma questa è un'altra storia.
Il problema mi pare proprio quello della incapacità da parte del PD, per paura, per interesse, per calcolo, per incapacità, di capire che la propria base (attenzione, quella vera, non quella prezzolata e collusa) non ne può più di senso di responsabilità, di senso dello stato, di unità della nazione. Vuole sentirsi sinistra:


Questa, secondo Panebianco, ma anche secondo buona parte dei nostri dirigenti, sarebbe la nostra colpa: essere mediatici (ma che minchia vuol dire?), non rappresentare nessuno (appunto, ma voi cosa o chi rappresentate? Mussari?) strizzare l'occhio a sinistra (innegabile, guarda un po'; meglio guardare a destra? Salvo poi accorgersi che a sinistra votano Grillo?). Ce lo siamo sentito dire a Roma, ce lo siamo sentito dire a Pisa (toh, ribadisco, la nemesi dei 101: "chi di 101 ferisce di 101 perisce ..").

Insomma per farla breve: o il PD (o meglio quel che resta del baraccone) gira a sinistra e lo fa con le palle, oppure meglio far festa. Trovo che ci siano tantissimi elementi di contatto con Sel, con Rivoluzione Civile, con il M5S: senso di una morale civile, pacifismo, tutela del territorio, ambiente, modelli di crescita, sobrietà della politica ... Quello che ci divide sono le etichette. Io credo che dobbiamo cominciare realmente a superare le etichette; scrive oggi un bel post Andrea Paganelli (altro pericoloso estremista ...):


Quello che è successo si cercherà di superarlo (e anch'io alla fine darò il mio contributo, quando sarò più sereno). Ma non dovrà essere minimizzato assolutamente. Il 25 aprile che si avvicina mi fa tornare in mente Porzus, partigiani uccisi a tradimento da altri partigiani, per ragioni non attinenti alla lotta che li accomunava. Prodi non è un partigiano qualsiasi, è il fondatore della "brigata", l'ideatore e il fondatore dell'Ulivo prima, e del PD dopo. È Come se il PCI avesse buttato a mare Gramsci...... Allora... A Porzus i superstiti raccolsero i propri morti e si presentarono alla liberazione di Milano accanto a coloro che erano comunque al corrente di quel misfatto, lo fecero per il bene del paese, che poi insieme ricostruirono. Ma l'errore fatale per tutti noi sarebbe invece di minimizzare queste cose, sperando che vengano velocemente accantonate, se l'intento sarà questo penso che non ce la faremo. Rodotá o non Rodotá.
Mentre scrivo questo post arriva la mail di una compagna che decide di restituire la tessera; la leggo e non posso non condividerla. Ne cito alcuni passi:
Il M5S ha tirato fuori un candidato che faceva pienamente parte della tradizione della sinistra. Il fatto che l'abbiano fatto loro con le Quirinarie e non noi è già un segnale. Ma quando questo nome è stato fatto, noi - lalleri e giulivi - abbiamo tirato fuori dal cappello Marini, per di più con una modalità che gridava forte e chiaro all'accordo sottobanco. La sollevazione del web ha impedito il pastrocchio numero uno. Allora si mette in campo Prodi (che a me sarebbe potuto andare bene, anche se preferivo Rodotà o Zagrebelsky), se non altro inviso al PDL (quindi, niente accordo sotto banco). Sono mancati 100 voti, di deputati che non hanno avuto il coraggio di dire apertamente (come sarebbe opportuno fare in democrazia): "non lo vogliamo per le seguenti ragioni". Resta da capire (ma temo si capisca molto bene) per quale motivo il nostro segretario si sia umiliato sino al ridicolo per farsi votare la fiducia da Grillo e poi - quando un voto a Rodotà (parliamo dell'ex - presidente del PDS, non di uno che passa per la strada!) poteva aprire ad una collaborazione con il M5S, si è tirato indietro. Napolitano accetta, immagino che verrà rieletto oggi pomeriggio. Premesso che nulla ho contro Napolitano, questo per me è il de profundis della democrazia parlamentare, e naturalmente di un partito, il PD, ormai completamente disancorato dalla realtàIo mi vergogno dei nostri parlamentari, mi vergogno di un gruppo dirigente autoreferenziale, litigioso, che evidentemente tutto aveva a cuori fuorché il bene del paese. Dato che per ragioni programmatiche non potrò mai votare M5S (troppi punti sono vaghi e molti sono del tutto folli), non mi resta che sperare che si riesca, nel prossimo futuro, a immaginare una nuova forma di partito / movimento, nel quale finalmente si ascoltino le persone (senza finzioni tipo streaming, utilizzato solo quando fa comodo), che si radichi davvero sul territorio e capisca i bisogni delle persone. Questo il PD non ha saputo farlo, e di questo ha una gravissima responsabilità politica.
Ecco, e concludo proprio qui: sono mesi che prendiamo schiaffi (vero A proposito di Pisa?) proprio perché diciamo queste cose; a questo punto prendiamo atto: la crisi è di sistema? Ok prendiamolo in mano questo sistema! O si cambia o si muore: poiché non ho alcuna intenzione di morire, tanto meno per mano della destra, penso sia il caso di cambiare; e credo sia il caso, da domani, di fottercene di tutto e di tutti e di accelerare il cambiamento. Tempo non ce n'è più.

venerdì 29 marzo 2013

Venerdì di Passione ...

Possiamo dire le cose come stanno: con i fascisti e gli sfascisti andateci voi al governo! Ci accusate di irresponsabilità? Ma dove eravate quando venti anni di governo del nano hanno distrutto la coscienza civile e civica del paese, oltre all'economia, alla sanità, all'istruzione, all'occupazione ...? Dove eravate quando questo paese riscopriva la sua anima più marcia, quella che riporterà una destra arrogante e nostalgica al potere e finalmente riuscirà a togliersi i comunisti di torno? Perché questo è il vero problema in Italia, non Berlusconi, non la corruzione, non l'arroganza del potere politico ed economico, non la massoneria che governa le nostre città: togliere di mezzo i komunisti! Renderli dei reducisti, dei giapponesi che difendono l'atollo del Pacifico. Uccidere ogni prospettiva di sinistra riformista: così egoismi, razzismi, liberismi, menefreghismi avranno piena dignità e governeranno i rapporti sociali. Sarà la politica vera del vaffanculo e del fotti (senza neanche chiagnere). Noi non ci saremo, non ci staremo: faremo forse una brutta fine, ma lo faremo con la stessa dignità e la stessa coscienza libera di coloro che permisero a questo cazzo di paese di essere - forse solo formalmente - libero: giovani comunisti, cattolici, azionisti, di giustizia e libertà. Penso a quanti liberali - Duccio Galimberti in testa - capirono subito da che parte stare, e penso oggi quanti ipocriti si riempiono la loro bocca bavosa con la parola "liberali". E sinceramente tutto quello che mi circonda mi fa sempre più schifo. Pasqua vuol dire passaggio: mi sembra che questo paese, ricattato, maltrattato, violentato, stia vivendo la sua passione e il suo passaggio, ma non di resurrezione, bensì verso una lunga notte che lo/ci attende.